di Angelo De Mattia
Si può sostenere che fosse scontato che la Vigilanza unica “bloccasse” l’eventuale aumento della partecipazione della Delfin di Leonardo Del Vecchio in Mediobanca oltre il 20%, come è stato scritto ieri su queste colonne attingendo ad anticipazioni per ora non ancora ufficialmente confermate. In effetti, più che un vero e proprio blocco, sarà stato fatto verosimilmente riferimento alla disciplina dei gruppi societari e dei conglomerati la cui applicazione, in presenza di una partecipazione bancaria rilevante da esercitare per tutte le opportunità che essa consente – e a maggior ragione in caso di lancio di un’opa – fa sì che, in base alla normativa ora vigente, l’intero gruppo sia sottoposto al controllo della Vigilanza con tutte le conseguenze che ciò comporta. Questa, ovviamente, sarebbe una limitazione pesante per un assetto societario, di rilievo internazionale, costruito da Leonardo Del Vecchio. Ma se questa risultasse essere l’effettiva posizione della Vigilanza – ed è doveroso comunque darne informativa al pubblico – non penso che la linea di Del Vecchio sia di mera acquiescenza, conoscendone dalle cronache di tanti anni, ma anche dal breve periodo del mio lavoro nelle Generali durante la presidenza Geronzi, la determinazione, l’intuito e la capacità di affrontare i conflitti che hanno su di lui l’effetto di farne crescere la pervicacia e la voglia di cimentarsi in difficili vicende. Intanto, assistito come egli è da autorevoli legali, sicuramente verificherà, se non l’ha già fatto, la coerenza delle disposizioni in questione con la normativa primaria. In ultima analisi, molto poggia sulla tutela della stabilità delle banche e sulla sana e prudente gestione che, a loro volta, traggono alimento, per l’Italia, dall’art.47 della Costituzione sulla tutela del risparmio e da specifiche Direttive comunitarie. Si tratta di verificare se questo procedimento deduttivo sia coerente o se gli spazi di discrezionalità delle fonti giuridiche subordinate siano dilatati in maniera incoerente. In quest’ultimo caso, non sarebbe eccessivo valutare la strada di un’azione in sede giurisdizionale, avendo presente il necessario bilanciamento, per esempio, tra l’articolo 47 citato e altri articoli della stessa Carta a tutela della proprietà e dei diritti dei soci, così come il raccordo tra il Trattato e le Direttive comunitarie, nonché la loro applicazione. In Italia, per un certo tempo era stata in vigore una normativa della separatezza che sottoponeva a limitazioni (non ad esclusioni) l’assunzione di partecipazioni in intermediari bancari e finanziari da parte di imprese non finanziarie. Questa normativa fu poi superata in connessione (“pour cause”?) con l’acquisizione di Interbanca da parte della General Electric. Ma almeno essa aveva il pregio della chiarezza e si rifaceva a precedenti storici e dottrinali. La situazione attuale è diversa e comunque rende opportuno l’esame di cui si è detto, che rientra nella fisiologia del sistema. Naturalmente, se la conclusione, ammesso ma non affatto concesso, militasse per la coerenza dell’intero impianto normativo, si può ben ritenere che esistano alternative praticabili che portino a salvaguardare l’investimento effettuato e ad accrescerlo evitando conseguenze indesiderate. Nei casi in cui ve ne siano i presupposti, assumere una condotta dialettica nei confronti della Vigilanza – che è un organo amministrativo, non un soggetto titolare di una funzione che mette insieme attribuzioni paralegislative, attuative, di controllo e sanzionatorie, tutte da svolgere, singolarmente, secondo le fonti primarie – non è un “crimen lesae maiestatis”, ma corrisponde in pieno al funzionamento del sistema. Se, poi, si sostiene che sarebbe preferibile una grande intesa tra le diverse parti che da Mediobanca arrivi alle Generali per tutte le note vicende passate e tuttora in corso, l’osservatore non potrebbe non essere favorevole, ma a condizione, per gli interessi del settore e generali, che tutto si svolga nella trasparenza, tutelando il risparmio e la concorrenza, prevenendo conflitti di interesse: insomma, una costruzione che non riporti alla mente quelle della “stanza di compensazione” del capitalismo italiano dell’epoca di Enrico Cuccia. A quel tempo potevano anche ritenersi una strada obbligata; oggi sarebbero un reperto da museo. (riproduzione riservata)

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