GIURISPRUDENZA
Autore: Marco Rossetti
ASSINEWS 342 – giugno 2022
Un recente decreto pone fine alle incertezze sull’uso della targa prova. Ma sul piano assicurativo non tutti i dubbi sono dissipati
1.L’aufheben del diritto.
La targa “prova” si può apporre anche su veicoli già targati, ed in caso di sinistri i danni vanno indennizzati dall’assicuratore “della targa”.
Con l’introduzione di questa norma, il legislatore capovolge un principio – come si vedrà – ultracentenario, e cioè quello secondo cui un veicolo la targa o ce l’ha, o non ce l’ha, e se ne è già munito non può pretendere di circolare con targa “prova”.
La diffusa violazione di tale precetto, come già segnalato da ASSINEWS (Assicurazione r.c.a. e targa “prova”: anno zero, in ASSINEWS, n. 323, ottobre 2020), era stata denunciata dalla Corte di Cassazione (sentenza 25.8.2020 n. 17665), la quale non poté che rilevare come in base alla lettera della legge i veicoli già targati non potessero, per legge, munirsi di una targa “prova”.
Dopo tale decisione il legislatore, in tempi relativamente brevi, ha ritenuto di intervenire, consentendo anche ai veicoli già immatricolati di circolare con targa “prova”, ovviamente nei limiti consentiti dalla legge (art. 1, comma 3. d.l. 10 settembre 2021, n. 121, convertito con modificazioni dalla l. 9 novembre 2021, n. 156).
Un perfetto esempio, dunque, di dialettica hegeliana (aufheben): alla tesi (la diffusa prassi di apporre la targa “prova” su veicoli già targati) si è contrapposta l’antitesi (Cass. 17665/20), la quale ha indotto il legislatore a cercare una più esauriente sintesi (il d.l. 121/21).
Tuttavia nel sistema del filosofo di Stoccarda ogni sintesi diviene, a sua volta, tesi di un successivo movimento dialettico: e così, purtroppo, sarà anche per il d.l. 121/21, il quale se da un lato ha risolto molti problemi, altri ne ha lasciati insoluti o addirittura creati: in particolare, ha consegnato agli interpreti il problema del diritto transitorio e – manco a dirlo – delle regole assicurative.
Per spiegare questa affermazione, però, è necessario innanzitutto ricordare brevemente perché mai nel nostro Paese circolare con targa “prova” era divenuto o un problema, o un abuso.
2. Riassunto delle puntate precedenti.
Parrà strano, ma la regola per cui un’automobile che circoli per prova debba essere assoggettata a regole speciali non nacque per finalità di sicurezza, ma fiscali1.
Una disciplina amministrativa ad hoc per la circolazione di prova venne introdotta per la prima volta dall’art. 7 l. 30.12.1909 n. 794: a quell’epoca era (già!) prevista una tassa sulla circolazione degli autoveicoli, ed il legislatore ritenne di doverla estendere, sia pure in misura ridotta, anche ai veicoli costruiti ma invenduti, prevedendo che “per la circolazione di prova dei veicoli (…), a scopo di verificazione e di studio della macchina e accessori, od a scopo di vendita, l’amministrazione delle tasse sugli affari potrà concedere ai fabbricanti e commercianti di vetture automobili (…) speciali contrassegni personali, mobili, a legittimazione della circolazione di prova, per la quale, in luogo delle tasse normali stabilite per ogni vettura circolante, sarà dovuta, per ogni contrassegno di prova concesso, una tassa speciale annuale corrispondente a due terzi di quella normale, in rapporto alla forza dinamica di cadauno tipo, e, per le vetture ad uso pubblico, in rapporto al numero dei posti”.
In origine, dunque, il contrassegno “targa prova” serviva a dimostrare che il veicolo circolava “a scopo di verificazione e di studio della macchina e accessori, od a scopo di vendita”, e che di conseguenza il fabbricante o il venditore aveva diritto allo sconto fiscale di un terzo della tariffa.
La distinzione giuridica tra circolazione tout court e circolazione per prova, in origine come s’è visto limitata ai profili fiscali, pochi anni dopo si estese anche al profilo del diritto amministrativo: il r.d. 2.7.1914 n. 811 (“Regolamento pei veicoli a trazione meccanica senza guida di rotaie”), infatti, da un lato introdusse la “licenza di circolazione” (art. 18), necessaria per potere circolare; e dall’altro stabilì (art. 26) che “i veicoli che i fabbricanti o i commercianti di automobili e motocicli facciano circolare a solo scopo di prova sono esenti dall’obbligo della licenza di cui all’art. 18”.
Per beneficiare di tale esenzione, tuttavia, i veicoli circolanti per prova dovevano nella parte posteriore esporre una apposita targa amovibile di riconoscimento, rilasciata dalla prefettura “per ciascun anno solare”.
Dunque è dal 1914 che il sistema della legge introdusse la distinzione tra veicoli immatricolati e non immatricolati, consentendo solo ai secondi, e solo se circolanti per prova, l’impiego d’una targa “amovibile” e di efficacia temporanea.
2.1. Queste regole, nel loro impianto essenziale, rifluirono nell’art. 63 del primo codice della strada promulgato in epoca repubblicana (d.p.r. 15.6.1959 n. 393).
L’art. 63 di quel testo stabiliva infatti che “le fabbriche costruttrici di autoveicoli, motoveicoli, ciclomotori e rimorchi, nonché le fabbriche costruttrici di carrozzerie, i loro rappresentanti, commissionari o agenti di vendita e gli esercenti officine di riparazione anche per proprio conto non sono soggetti all’obbligo di munire di carta di circolazione o di certificato per ciclomotore i veicoli che facciano circolare a scopo di prova tecnica o di dimostrazione per la vendita. I veicoli, però, debbono essere provvisti di una autorizzazione per la circolazione di prova, che rilascia l’ispettorato della motorizzazione civile (…). Sul veicolo in circolazione di prova deve essere presente il titolare dell’autorizzazione o un suo dipendente”.
Anche questa regola non poteva essere più chiara, e potremmo riassumerla così: hai già la targa? Usa quella, che tu debba circolare per prova o per altro. Non hai la targa? Non puoi circolare; ma se devi eseguire delle prove o collaudi, e solo per questo scopo, puoi chiedere una targa “prova”.
2.2. Ed eccoci alle ultime puntate: l’art. 63 del vecchio codice della strada fu trasfuso pressoché tal quale nell’art. 98 del codice della strada del 1992 (d. lgs. 30.4.1992 n. 285). Dieci anni dopo l’entrata in vigore del codice della strada, il Governo emanò un regolamento di delegificazione (un regolamento, cioè che abrogò la legge prendendone il posto), definito (non senza involontaria ironia, la più esilarante) “regolamento di semplificazione”: e questo fu il d.p.r. 24.11.2001 n. 474, tuttora in vigore.
Questo regolamento in realtà non semplificò un bel nulla, ma riformò su punti secondari la disciplina della targa “prova”.
Per i fini che qui rilevano, comunque, il regolamento lasciò immutata la regola di base: e cioè che la targa “prova” potessero usarla solo i veicoli non ancora immatricolati.
Ribadì, infatti, l’art. 1 del d.p.r. 474/01, che sono esonerati dall’obbligo di munirsi di una carta di circolazione (e, quindi, d’una targa) “i veicoli che circolano su strada per esigenze connesse con prove tecniche, sperimentali o costruttive, dimostrazioni o trasferimenti, anche per ragioni di vendita o di allestimento”, se messi in circolazione dal costruttore, dal venditore, dal riparatore o da istituti universitari o di ricerca.
Tali veicoli, in luogo della comune targa, dovevano però dotarsi di una targa di prova rilasciata dall’autorità amministrativa e di validità annuale (si noti la perfetta identità di tale previsione con quella del 1914, sopra ricordata).
2.3. Orbene, la legge non poteva essere più solare: chi ha la targa può circolare per qualunque scopo; chi non ha la targa può circolare solo per prova, previo rilascio della “targa prova”. Che si voleva di più chiaro? Eppure questo limpido precetto per anni fu violato alla luce del sole, con la tolleranza delle autorità preposte a farlo rispettare.
La targa “prova” iniziò ad essere chiesta, rilasciata, apposta ed utilizzata anche per la circolazione di veicoli già targati, sul presupposto che anch’essi potessero dotarsene nel caso di circolazione per prova.
Sulla questione si registrò anzi una vicenda francamente surreale: mentre il Ministero dell’Interno, rispondendo al quesito rivoltogli da una prefettura, ritenne illegittima l’apposizione della targa “prova” su veicoli già targati (Nota 300/A/2689/18/105/20/3 del 30.3.2018), il Ministero dei Trasporti ritenne l’esatto contrario (Nota 4699/M363 del 4.4.2004).
Il Ministero dell’interno, preso atto del contrasto, raccomandò allora alle Prefetture di “evitare ogni azione sanzionatoria nei confronti di chi opera secondo la prassi consolidata di utilizzare la targa prova anche su vetture già immatricolate” (Circolare del Ministero dell’interno 300/A/4341/18/105/20/3 del 30.5.2018).
Un perfetto esempio, dunque, di quanto sia vero l’antico detto communis error facit ius.
2.4. A questo punto il Ministero dei trasporti e quello dell’Interno si rivolsero al Consiglio di Stato per avere un parere sul da farsi: ma la Corte di cassazione arrivò prima, e con la sentenza 25.8.2020 n. 17665 stabilì che:
a) la targa “prova” può essere legittimamente utilizzata solo su veicoli ancora privi di immatricolazione, e quindi di targa;
b) se apposta su un veicolo già targato, è utilizzata in modo illegittimo;
c) se un veicolo già targato, ma circolante con targa “prova” causa un sinistro, tenuto al risarcimento della vittima è l’assicuratore r.c.a. del veicolo, non l’assicuratore r.c.a. della targa “prova”;
d) se il veicolo già targato, ma circolante con targa “prova”, era munito solo dell’assicurazione c.d. “sulla targa”, la vittima dev’essere indennizzata dall’impresa designata per conto del Fondo di garanzia, che ovviamente avrà regresso nei confronti del responsabile civile.
3. Il decreto–legge 121/21.
In un bel pamphlet di qualche anno fa Roger Abravanel descrisse il fenomeno chiamato “il circolo vizioso dell’illegalità” (Abravanel-D’Agnese, Italia, cresci o esci, Garzanti, Milano, 2012).
Il fenomeno può così riassumersi: c’è una norma e non viene rispettata; vengono allora introdotte norme più severe, ma chi non rispettava le norme più blande, a fortiori non rispetterà nemmeno quelle più rigorose; l’illegalità diventa allora così diffusa e generalizzata che il legislatore non può più reprimerla e introduce una sanatoria, legittimando il comportamento illegale.
E’ un po’ quel che è accaduto col d.l. 121/21 rispetto alla targa prova. Quella targa era vietato usarla su veicoli già targati; tutti se ne infischiavano; la Cassazione ha ribadito la necessità di rispettare la legge; i concessionari hanno levato gli scudi; il Governo ha varato di fatto una sanatoria, consentendo l’uso della targa “prova” anche sui veicoli già targati.
Al di là dei risvolti sociologici sul rapporto tra legislatore e legalità, sul piano strettamente giu la vicenda appena ricordata sollecita una riflessione e pone alcuni problemi. La riflessione è che, come si è cercato di dimostrare, sin dal 1914 il legislatore non aveva mai dubitato del fatto che una targa “prova” si potesse concedere solo per l’uso di veicoli non targati.
Ed infatti perché mai un veicolo già targato avrebbe bisogno di una seconda targa? La circolazione è circolazione, e se un veicolo è immatricolato, nulla importa che si sposti per diletto, per lavoro o per collaudo. Il beneficio della targa “prova” venne concepito solo per consentire anche ai veicoli non immatricolati di essere collaudati, senza necessità della previa immatricolazione, che li avrebbe resi “usati” anche per il mercato.
Il d.l. 121/21, dunque, sembra essere più una concessione ai lagni di chi s’era abituato all’illegalità, che una misura davvero necessaria. Detto della riflessione, veniamo ora ai problemi posti dal d.l. 121/21.
3.1. Il primo problema è se tale norma sia retroattiva o no. A favore dell’irretroattività depone il fatto che il decreto 121/21 non contiene nessuna disposizione di diritto transitorio od intertemporale. Resterebbe tuttavia da chiedersi se tale norma non possa avere natura interpretativa, e non innovativa.
La legge di interpretazione autentica, infatti, come noto è per sua natura retroattiva. Tuttavia, per aversi una norma interpretativa, sarebbe necessario dimostrare l’esistenza di una pregressa incertezza sull’interpretazione della norma che il legislatore ha ritenuto di interpretare autenticamente, e trattasi oggettivamente di questione dubbia: se, infatti, da un lato la Corte di Cassazione non ha avuto dubbi nell’interpretare l’articolo 1 del d.p.r. 474/01, alla prima occasione in cui la questione le fu sottoposta, dall’altro lato è anche vero, come si è visto, che l’interpretazione di tale norma fu oggetto di opinioni discordi da parte dell’amministrazione dell’Interno e di quella dei Trasporti, e dunque non sarebbe azzardato supporre che il decretolegge 121/21 possa avere natura interpretativa.
La questione riverbera effetti anche sul piano assicurativo.
Se si ritenesse che il decreto 121/21 abbia natura interpretativa e dunque sia retroattivo, tutti coloro che, anche prima dell’entrata in vigore del decreto, avessero circolato apponendo una targa prova su un veicolo già targato, ed avessero causato danni a terzi, potrebbero legittimamente pretendere di essere tenuti indenne dall’assicuratore della targa prova, e per converso le vittime dei sinistri potrebbero pretendere di essere risarcite da quest’ultimo.
In caso contrario, e cioè se si ritenesse che il decreto 121/21 sia norma innovativa e non interpretativa, e che di conseguenza non abbia effetti retroattivi, l’uso legittimo della targa prova su un veicolo già targato sarà consentito solo a partire dall’entrata in vigore del suddetto decreto, e cioè dall’11 settembre 2021; di conseguenza per i sinistri avvenuti prima di tale data il responsabile non potrà pretendere di essere tenuto indenne dall’assicuratore della targa prova.
3.2. Il secondo problema posto dal decreto 121/21 è stabilire come debba interpretarsi l’ultimo periodo del terzo comma dell’articolo 1, laddove stabilisce che “dei danni cagionati dal veicolo in circolazione di prova, anche se munito della carta o del certificato di circolazione, risponde, ove ne ricorrano i presupposti, l’assicuratore dell’autorizzazione alla circolazione di prova”.
A parte l’improprietà lessicale (oggetto dell’assicurazione è la responsabilità del conducente, non certo “l’autorizzazione alla circolazione”), il suddetto periodo in parte afferma un principio ovvio: ed infatti una volta ammesso che anche i veicoli già targati possano circolare con la targa prova, ne discende di necessità che dei danni da essi causati deve rispondere l’assicuratore “della targa”. Più problematico è stabilire cosa il legislatore abbia voluto intendere con l’inciso “ove ne ricorrano i presupposti”.
È evidente che con tale espressione il legislatore abbia voluto riferirsi all’ipotesi in cui il veicolo che ha causato il danno, e che esponeva targa prova, circolasse effettivamente per scopo di prova o di collaudo. Non è chiaro, tuttavia, se l’aver subordinato la responsabilità dell’assicuratore alla “ricorrenza dei presupposti” è previsione che debba intendersi riferita al rapporto fra assicuratore assicurato, oppure al rapporto tra assicuratore e terzo danneggiato.
In altri termini, non è chiaro se col suddetto inciso il legislatore abbia inteso consentire all’assicuratore della targa prova di opporre l’uso illegittimo della targa solo all’assicurato, oppure anche al terzo danneggiato.
Se si opta per la prima ipotesi, la norma è inutile: ed infatti l’assicuratore che garantisca la responsabilità del conducente per i danni causati durante la circolazione di prova mai potrebbe essere chiamato a tenere indenne l’assicurato per i danni causati durante una circolazione eseguita per altri scopi, in quanto si tratterebbe di un rischio non incluso nella polizza.
Con riferimento a tale rapporto assicurato-assicuratore, pertanto, la norma è perfettamente inutile. Se si opta per la seconda ipotesi (ritenere, cioè, che la norma abbia inteso consentire all’assicuratore di opporre l’eccezione di uso illegale della targa prova anche al terzo danneggiato) si andrebbe incontro a problemi ancora più insormontabili.
In primo luogo, infatti, una simile previsione contrasterebbe apertamente col precetto generale di cui all’articolo 144 codice delle assicurazioni, secondo cui l’assicuratore non può opporre al terzo danneggiato le eccezioni fondate sul contratto.
In secondo luogo, quel che più rileva, la suddetta interpretazione sarebbe difficilmente compatibile con l’articolo 13, primo comma, della direttiva comunitaria 2009/103, il quale impone agli Stati membri di adottare norme che prevedano l’inefficacia delle clausole contrattuali che consentono di opporre al terzo danneggiato l’inoperatività della garanzia, per il fatto che il conducente abbia usato il veicolo in modo difforme dalle prescrizioni amministrative.
In conclusione, l’inciso “ove ne ricorrano i presupposti” contenuto nell’ultimo periodo del terzo comma dell’articolo 1 del decreto- legge 121/21 è norma perfettamente inutile, in quanto:
a) nei confronti dell’assicurato, l’uso illegittimo della targa “prova” comporterà sempre e comunque l’insussistenza della garanzia;
b) nei confronti del terzo danneggiato, l’uso illegittimo della targa “prova” rappresenta un’eccezione fondata sul contratto, e come tale è inopponibile da parte dell’assicuratore ai sensi dell’articolo 144 codice delle assicurazioni.
In definitiva, gli unici effetti concreti prodotti dal decreto 121/21 sono stati da un lato la riduzione dei rischi gravanti sul fondo di garanzia per le vittime della strada, dal momento che ora la vittima di danni causati da un veicolo circolante con targa prova illegittimamente utilizzata può pretendere il risarcimento dall’assicuratore della targa prova, e dall’altro la “liberalizzazione” dell’uso (e, forse, dell’abuso!) della targa “prova”.
1 La circostanza stupisce meno, se si riflette che l’intera storia dell’umanità è segnata dal rapporto col fisco. Il più antico documento redatto dall’uomo pervenuto sino a noi non è né una poesia né un racconto, ma una tavoletta sumera del 3.400 a.C. in cui è annotata la
quantità di orzo incassata dal fisco a titolo di imposta (Harari, Da animali a dei – Breve storia dell’umanità, Milano 2014, 155-156).
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