di Angelo De Mattia
Un successo e un insuccesso dei fondi: per l’elezione del nuovo cda delle Generali, in assemblea si sono rivelati fondamentali, mentre nell’assise di PopSondrio sono stati invece sconfitti. Occorre aver presenti le proporzioni tra le due vicende. Tuttavia si ha un’indicazione del modo in cui si può svolgere una feconda dialettica nella formazione della governance e privilegiare, come nella Sondrio, soci stabili, con una prospettiva di lungo termine. Al successo ha concorso pure l’importante apporto della formazione «Insieme per la Popolare» che ha contribuito, coagulando il 3%, a far sì che siano stati confermati i valori che hanno contraddistinto l’Istituto nei 151 anni della sua vita. Si è assunta la forma di spa ma non si abbandonano i valori fondamentali di una Popolare e la peculiare vocazione al territorio.
Dal versante degli investitori istituzionali, che prima del voto arrogantemente avevano escluso accordi con la lista del consiglio, viene ora, dopo la sconfitta, l’appello a un’apertura al confronto. Non è chiara la richiesta; tuttavia un confronto sarà doveroso, mantenendo, s’intende, le distinzioni e, innanzitutto, concentrandosi nel rapporto con azionisti, come nel caso di Unipol, che hanno la stessa impronta cooperativistica e finalità non lontane. Il tema del futuro della Sondrio, che ha visto confermato il presidente Francesco Venosta, nel contesto del sia pur incerto processo di consolidamento a livello nazionale, è presente; si può guardare al mondo delle consorelle; si continuerà certamente a far tesoro della storia dell’Istituto.
Ben diverso è il quadro delle Generali. Qui la vittoria, nel voto, della lista del cda che ha visto assegnati a quest’ultima dieci consiglieri, a fronte dei tre spettanti alla lista in competizione, quella di Franco Caltagirone, non è una vittoria di Pirro il quale, secondo Plutarco, ebbe a dire, una volta sconfitti i romani, che dopo un altro successo come quello conseguito, che aveva causato ingenti perdite, se ne sarebbe tornato a casa perché completamente rovinato. Non lo è, di certo, ma potrebbe diventarlo: tutto dipenderà dal modo in cui i vincitori della «confrontation», l’ad Philippe Donnet innanzitutto, nonché il primo azionista del Leone, Mediobanca, gestiranno il successo. Intanto, bisognerà aver presente che i fondi esteri sono risultati fondamentali per il risultato a favore della lista del consiglio, mentre il sostegno allo schieramento contrario è venuto da un’estesa e importante adesione tutta italiana: il 45% superato dalla vittoria del 55% che, però, non può trascurare la parte contraria. I fondi sono diversi dall’azionariato italiano. Per il modo in cui si è arrivati al confronto, per i temi affrontati, per le questioni giuridico-istituzionali sollevate – una situazione ben diversa dal caso della Sondrio – si dovrebbero dare dei segnali concreti da parte dei «vincitori», a cominciare dalle strategie, dalle innovazioni istituzionali e funzionali, dal delicatissimo tema delle «parti correlate» che non potranno non tenere conto delle proposte della minoranza, oltre alla composizione degli organi intermedi. Si avrà la lucidità per imboccare una tale strada? Si penserà ai riverberi che potrebbero registrarsi sulla posizione di Mediobanca della quale primo azionista con il 19% circa è la Delfin di Leonardo Del Vecchio che ha votato con il suo 9%, nelle Generali, per la lista Caltagirone e che non potrà a lungo rimanere nella posizione che qualcuno potrebbe definire di azionista dimezzato quanto alle proiezioni nella governance, ma che ha i presupposti di vario genere per potersi districare tra normative e poteri degli Organi di controllo? Certo, il limite non può non essere il «bonum societatis», della compagnia e di Mediobanca. Ma non è scritto sulle dodici tavole che questo coincida solo con gli assetti attuali. Del resto, non si dice spesso che la concorrenza è una componente fondamentale della stabilità la quale, senza competizione, sarebbe il «rigor mortis»? (riproduzione riservata)
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