Chi scommetteva su una pace o, quanto meno, su una tregua è stato smentito dai fatti. La durissima contrapposizione emersa nel cda di giovedì 12 mostra che la guerra al vertice delle Generali è ancora in corso. È bastata la divergenza sulla costituzione del comitato per le operazioni strategiche per spingere di nuovo sulle barricate Francesco Gaetano Caltagirone e gli altri rappresentanti della minoranza che, per protesta, si sono sfilati dagli altri comitati della compagnia. Nel clima infuocato della riunione a poco sarebbero serviti i tentativi di mediazione messi in atto da una figura super partes come il presidente del Leone Andrea Sironi: per una tregua oggi mancano proprio le premesse. Del resto i clamori dell’assemblea Generali non si erano ancora spenti quando, lo scorso 5 maggio, una zampata di Francesco Gaetano Caltagirone era bastata a rimettere in fibrillazione la «Galassia». Balzando da 3 al 5,5% di Mediobanca, l’imprenditore romano ha riaperto le grandi manovre sull’asse Milano-Trieste. Gli azionisti in movimento peraltro potrebbero essere più di uno. Leonardo Del Vecchio deciderà entro luglio se mantenersi sotto la soglia del 20% (oggi è al 19,4%) oppure avviare le procedure per superarla in tempo utile per l’assemblea del 28 ottobre. La seconda opzione appare credibile tanto più che, secondo fonti finanziarie, Delfin starebbe definendo con i propri advisor (Jp Morgan e lo studio Bonelli Erede) un dettagliato progetto industriale per la partecipata. Sul fronte avversario Mediobanca potrebbe trovare anche la famiglia Benetton. Nel settembre scorso Ponzano Veneto aveva svincolato il proprio 2% dal patto di consultazione che presidia il 10,7% della merchant bank. Già allora l’iniziativa era stata interpretata come un avvicinamento alle posizioni di Del Vecchio e Caltagirone, lettura confermata dal voto espresso nell’assemblea Generali nel corso della quale i Benetton hanno appoggiato la candidatura di Claudio Costamagna e Luciano Cirinà. Qualcuno per la verità suggerisce che oggi il presidente di Edizione, Alessandro Benetton, non sia particolarmente disponibile a continuare la guerra, ma si vedrà. Di sicuro il movimento a tenaglia degli imprenditori dovrebbe convergere verso la data del 28 ottobre. Sia chiaro: all’ordine del giorno dell’assemblea Mediobanca, salvo integrazioni, non ci saranno temi particolarmente caldi, visto che l’attuale board presieduto da Renato Pagliaro arriverà a scadenza solo nel 2023, ma la data sarà comunque molto sensibile.

Per ora insomma quello di un assedio è scenario plausibile. Piazzetta Cuccia però potrebbe disporre di diverse armi per contrastare gli avversari. In primo luogo il patto di consultazione potrebbe incrementare il proprio peso specifico proiettandosi verso il 12% o perfino oltre. L’accordo che nel 2019 ha rimpiazzato il vecchio sindacato si è assottigliato per le defezioni di Unicredit e di Fininvest scendendo al 10,7%, anche se lo scorso anno è stato rimpolpato dall’ingresso delle famiglie Monge e Pittini. Ulteriori adesioni per ora vengono escluse (in tal senso si è espressa anche Unipol che, caduti i divieti Antitrust legati al salvataggio di Fonsai, nel 2019 era rientrata in Mediobanca con una quota vicina al 2%), ma alcuni soci storici potrebbero rafforzarsi. Gli occhi sono puntati soprattutto sulle famiglie Gavio e Lucchini e su Romano Minozzi, soci che nei mesi scorsi avrebbero fatto acquisti fuori dal patto e che potrebbero apportare le nuove azioni. Occorre però ricordare che il nuovo accordo di consultazione consente ai membri di tenersi le mani libere e di movimentare le quote in assenza dei vincoli del passato. Un incremento delle partecipazioni non darebbe insomma garanzia di tenuta di fronte ad assalti esterni.

Una seconda strategia difensiva per Mediobanca potrebbe invece puntare dritto su un’acquisizione. Lo stesso ceo Alberto Nagel del resto ha spesso ventilato operazioni di m&a nel risparmio gestito italiano pagate con azioni Generali. Il problema di questo tipo di strategia è che i tempi potrebbero non essere immediati. Attualmente infatti a Piazzetta Cuccia manca un target. Sulla carta Mediolanum sarebbe l’obiettivo ideale sotto più di un aspetto (dimensione, modello di business e governance), ma sinora il ceo Massimo Doris ha escluso l’opzione. L’ultima smentita in ordine di tempo è arrivata durante la presentazione dei risultati trimestrali da parte del gruppo di Basiglio. Per Azimut e Anima invece ci sarebbero incompatibilità di natura industriale mentre Fineco, con i suoi quasi otto miliardi di capitalizzazione, rimane una preda ghiotta ma troppo cara. Nemmeno Banca Generali può oggi essere inclusa tra i target possibili di Piazzetta Cuccia, specie dopo il tentativo andato a vuoto lo scorso anno per la netta contrarietà di Del Vecchio e Caltagirone. Una terza ipotesi è che, all’inizio dell’assedio, Mediobanca possa chiamare in proprio soccorso un alleato, magari una grande banca italiana che da qualche anno si è riavvicinata al vertice della merchant. Fantasie? Si vedrà. Per oggi comunque gli alleati più concreti di Nagel sono altri. Due in particolare: gli investitori istituzionali che detengono circa la metà delle azioni di Piazzetta Cuccia e che finora hanno dato prova di apprezzare il modello di gestione e la Banca Centrale Europea che potrebbe rendere molto impegnativa la procedura di autorizzazione per Delfin. Senza contare il ruolo della Consob di Paolo Savona che potrebbe contestare un concerto agli scalatori, imponendo non solo un’offerta pubblica su Mediobanca, ma a cascata anche sulla partecipata Generali. (riproduzione riservata)
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