FISSATO IL COMITATO NOMINE CHE DOVRÀ RICOMPORRE LA SPACCATURA NELLA GOVERNANCE
di Andrea Deugeni e Anna Messia
Ci siamo. È fissata per lunedì, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, la riunione del comitato nomine di Generali che dovrà affrontare la questione della governance della compagnia dopo la spaccatura che si è venuta a creare nelle scorse settimane. Come anticipato ieri da questo giornale la soluzione appare ormai vicina con l’obiettivo di arrivare ad un compromesso che sia gradito a Francesco Caltagirone, azionista con il 9,95%. L’imprenditore capitolino, dopo la decisione della compagnia di non prevedere un comitato per le operazioni strategiche, aveva fatto un gesto clamoroso. Ha scelto infatti di non partecipare ad alcuno dei cinque comitati endoconsiliari nominati dal board lo scorso 12 maggio e un passo indietro è stato fatto anche dagli altri consiglieri espressione della lista di minoranza, Flavio Cattaneo e Marina Brogi. Un’anomalia considerando che lo stesso parere di orientamento messo a punto dal consiglio uscente in vista dell’assemblea del 29 aprile scorso, che ha eletto il nuovo cda, proponeva di avere almeno un rappresentante della lista di minoranza in ogni comitato. Lo stesso cda di metà maggio aveva dato mandato al Comitato nomine e corporate governance, formato dal presidente del Leone, Andrea Sironi e dai consiglieri, Clara Furse, Diva Moriani e Luisa Torchia, di proporre una possibile soluzione per ritrovare l’accordo, guardando anche ai benchmark di mercato. E ora, come anticipato ieri da MF-Milano Finanza e ripreso da altri organi di stampa, dal Corriere alle principali agenzie, si va verso una soluzione. L’ipotesi su cui si starebbe ragionando è in particolare l’innalzamento dell’attuale tetto di 50 milioni per le operazioni che non richiedono l’ok preventivo del board. La proposta di mediazione dovrebbe prendere la forma di un accorpamento del comitato investimenti con quello per le operazioni strategiche. Sarebbe questo l’organismo incaricato di istruire i potenziali deal sopra i 500 milioni, soglia su cui si sta ragionando, lasciando invece sotto tale tetto ampi poteri al ceo Philippe Donnet, proprio come avviene già in Axa. Ma prima di lunedì ci sarà ancora qualche giorno a disposizione per affinare la proposta sia in termini di composizione dei comitati sia eventualmente sul fronte delle soglie e non è detto che l’incontro di lunedì sia già risolutivo. Intanto dopo le rilevazioni di MF- Milano Finanza, il titolo è tornato a salire in borsa a 17,35 euro (+0,46%), ancora lontano però dai massimi pre-assembleari di 21,1 euro toccati ad inizio aprile. E ieri, a proposito del gruppo Generali, Paolo De Santis è stato nominato amministratore delegato e dg di Generali Welion. (riproduzione riservata)

La governance del Leone avrà un impatto sul risiko bancario
di Angelo De Mattia
Per un motivo o per un altro, le Generali continuano ad essere in primo piano nelle cronache. La notizia, data, sia pure con una certa cautela, solo da questo giornale, di un possibile accordo tra maggioranza e minoranza del cda del Leone a proposito del comitato da deputare alle strategie e agli investimenti, rappresenta una sicura novità. Ma esisterebbe un bilanciamento tra il costituendo organo competente in prima battuta per le due funzioni – quella strategica di nuova istituzione, come vuole il leader della minoranza, Franco Caltagirone, e quella riguardante gli investimenti, già di spettanza di uno specifico comitato – e i poteri dell’amministratore delegato uti singulus che verrebbero estesi a operazioni fino a 500 milioni. Su tutto ciò – si ripete – non si hanno (ancora) conferme. Naturalmente, la strada che porti a un’intesa tra le parti è apprezzabile. Esistono, però, alcuni caveat da considerare. Quando, pochissimo tempo dopo l’insediamento della presidenza Geronzi, fu istituito, a seguito di assai laboriosi confronti, il «comitato investimenti» fino allora inesistente, si intese corrispondere a una esigenza di collegialità e di limitazione, proprio in nome della stessa collegialità, delle attribuzioni dell’amministratore delegato del tempo. Sarebbe strano se, oggi, l’accoglimento della giusta proposta sulle strategie avesse come contrappeso sia un’indistinta commistione con gli investimenti, sia l’aumento o comunque un livello alto dei poteri dell’ad, quale che esso sia. Di tutto ciò si parla e si scrive avendo ben presente la natura di intermediario privato delle Generali, ma nel contempo non dimenticando le regole a cui è sottoposto per la tutela del risparmio, nonché la funzione di interesse generale di un soggetto, qual è, di rilievo europeo e internazionale. D’altro canto, si spera che l’Ivass concentri la propria attenzione sulla governance del Leone.

Ma di quest’ultimo si inizia a scrivere nelle cronache anche in relazione ad Anima, partecipata dal Banco Bpm di Giuseppe Castagna con oltre il 20% e nella quale Amundi, la società di asset management controllata dal Crédit Agricole, detiene ora il 5% circa. Si istituisce, poi, una correlazione con la recente acquisizione, da parte dell’Agricole, di oltre il 9% della Bpm, di cui per molti giorni hanno riferito le cronache. Finora, la banque verte ha smentito un proprio interesse nel caso specifico del risparmio gestito, che vada, dunque, al di là della bancassicurazione: l’investimento, viene precisato, non ha carattere strategico. In questa vicenda di asset management si chiama in ballo anche il gruppo Caltagirone, che avrebbe una partecipazione di oltre il 3%, e subito dopo, quasi per una vis attractiva, si vocifera di un interesse delle Generali.

Occorrerà verificare quanto vi sia di vero e quanto di mera fantafinanza. Intanto, si coinvolge il Banco Bpm reduce da brillanti risultati trimestrali e da giudizi, non comuni per la loro positività, da parte di agenzie di rating. Si aggiunge l’impegno particolare, in settori nuovi, quale quello dell’Esg. È difficile ora immaginare un Banco come «aggregando». Alcune ex Popolari, se si pensa anche alla Bper di Piero Montani, continuano ad evidenziarsi positivamente. E sono in grado di condurre azioni da protagonisti, come dimostra la vicenda Carige, appunto per la Bper. Quanto in tutto ciò possa inserirsi, sia pure con riferimento a un’operazione specifica, il Leone di Trieste non è affatto chiaro e, comunque, il solo evocare l’ipotesi rafforza la rappresentata esigenza di un comitato per le strategie. (riproduzione riservata)
Fonte: logo_mf