«Abbiamo un piano ambizioso, ma garantiamo che riusciremo a realizzarlo anche in un periodo difficile come questo. E la reazione del mercato non ci spaventa. Abbiamo aumentato gli obiettivi di remunerazione per gli azionisti, accantonato riserve adeguate per affrontare qualsiasi tipo di scenario nel prossimo triennio, e prevediamo investimenti importanti nella digitalizzazione del gruppo, con il lancio di un nuovi marchi assicurativi per auto completamente digitalizzati». Carlo Cimbri, da un mese presidente del gruppo Unipol, che aveva a lungo guidato da ad, parla dalle montagne svizzere del World Economic Forum di Davos, dove ha partecipato ai lavori del principale think tank economico mondiale, ma guarda all’Italia, e anche al mercato.

D. La Borsa non ha preso bene la presentazione del Piano industriale.

R. Si tratta di un fenomeno prettamente speculativo. Qualcuno ha preso posizioni di breve scommettendo sull’accorciamento della nostra catena partecipativa. Ma non è un’operazione in programma. Abbiamo invece progetti ambiziosi che porteremo a termine, com’è tradizione del nostro gruppo. Siamo stati appena promossi da Moody’s, che ha alzato il livello del nostro rating sul debito. A momento è giudicato più solido di quello della Repubblica Italiana. Ci sembra un buon risultato per un gruppo che non ha diversificazione all’estero, e fa business interamente in Italia.

D. Il periodo resta comunque difficile. La prima sfida è l’inflazione. Ne subite l’impatto?

R. Per ora no. Anche se, nel medio-lungo periodo, un’inflazione fuori controllo non può certo rappresentare un fattore positivo. Ma siamo sicuri che – anche grazie all’intervento delle banche centrali – si possa trovare una stabilità duratura nel tempo.

D. È il secondo fattore di impatto: il rialzo dei tassi. Cosa cambia per voi?

R. Per una compagnia assicurativa il rialzo dei tassi è un fattore che, a medio termine, può rivelarsi positivo. Un incremento dei tassi di interesse ci permette di investire i soldi dei nostri assicurati a condizioni di maggiore redditività. Per quanto riguarda i rischi sul debito pubblico, invece, non siamo preoccupati. In linea con quanto emerge anche dagli interventi qui a Davos. Ho recentemente ascoltato il capo economista del Fondo monetario Internazionale dire la stessa cosa.

D. E guardando all’economia italiana?

R. È chiaro che, sotto questi aspetti, si tratta di temi che ci riguarderanno da vicino, perché nel medio periodo saremo tra i Paesi più esposti. Per garantire la solidità della nostra economia, e la capacità di ripagare il nostro debito, occorre un forte sviluppo economico. Non possiamo permetterci di abbassare la guardia di fronte a tassi in aumento e a un’inflazione che ridurrà il peso relativo della nostra economia.

D. È il terzo fattore di rischio: la crescita che rallenta e l’ombra della recessione.

R. Nessuno può trarre vantaggio da una recessione. E anche noi, come tutti gli operatori, siamo interessati al buon andamento della economia, e a una crescita duratura che possa ridurre il peso del debito pubblico. Serve però anche tenere l’inflazione sotto controllo. Altrimenti penalizzerebbe quel beneficio sulla redditività che consumatori e investitori potrebbero ottenere dall’incremento dei tassi di interesse

D. È il dilemma delle banche centrali: crescita o controllo dei prezzi. A Davos è uno dei temi principali.

R. Che i tassi debbano aumentare è ormai chiaro. A fare la differenza potrà essere la velocità con cui le banche centrali decideranno di intervenire. Serve un bilanciamento corretto fra una politica monetaria più restrittiva e la necessità di non deprimere la crescita economica. La situazione geopolitica complica le prospettive di sviluppo, ma bisogna evitare una stagnazione o, peggio, una recessione.

D. È materia da banchieri centrali. Mentre tra gli imprenditori come lei, che clima si respira a Davos?

R. Circola un grande sentimento di incertezza. Nel Congress Center è sicuramente cambiato lo spirito che si respira. Non più tardi di qualche anno fa qui c’era il presidente cinese Xi Jin Ping che si proponeva come nuovo riferimento per la globalizzazione. Poi è venuto Trump,. con la fine del multilateralismo e l’avvio del bilateralismo. Oggi è il turno dell’incertezza.

D. La guerra in Ucraina ha cambiato tutto?

R. Sì, ma non è l’unico fattore di attenzione. Si temono anche gli effetti di lungo periodo della pandemia, con i sassolini di sabbia che hanno rallentato gli ingranaggi delle supply chain mondiali. E poi questa inflazione, che ha origini diverse: in America è trainata dalla domanda, ma in Europa è spinta principalmente dall’aumento dei costi energetici.

D. Domande senza risposta.

R. Si. Al momento ci si chiede soprattutto quale potrà essere il nuovo ordine globale. (riproduzione riservata)

*ha collaborato Adolfo Valente
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