Pagina a cura di Carla De Lellis

Sette mesi ancora per la «pace contributiva». A fine anno, infatti, chiuderà i battenti il riscatto dei cosiddetti «buchi contributivi», dopo un triennio di operatività sperimentale (2019/2021). Lo ha precisato l’Inps nel messaggio n. 1921/2021 ricordando che, salvo proroga (al momento non in agenda governativa), il prossimo 31 dicembre è il termine ultimo per l’esercizio della facoltà di riscatto dei periodi non coperti da contributi (i «buchi») nel limite massimo di cinque anni, anche non continuativi.
Misura sperimentale. La facoltà di riscatto dei «buchi contributivi» è relativamente nuova essendo stata introdotta, in via sperimentale limitamento al triennio 2019/2021 dal decreto legge n. 4/2019, convertito dalla legge n. 26/2019. La facoltà è operativa a favore dei lavoratori iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (Ago) per invalidità, vecchiaia e superstiti (Ivs) dei dipendenti, nonché a quelli iscritti alle forme sostitutive ed esclusive dell’Ago o alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi o alla gestione separata dell’Inps. Non tutti i lavoratori ne fanno diritto, ma soltanto quelli privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 (che siano, quindi, appartenenti al sistema contributivo di calcolo delle pensioni) e non già titolari di una pensione. Riguardo alla prima condizione (non titolarità di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995), l’Inps ha precisato che possono beneficiarne i lavoratori privi di anzianità contributiva alla citata data avendo riguardo a qualsiasi tipologia di contribuzione (cioè: obbligatoria, figurativa, riscatto) accreditata prima del 1° gennaio 1996 in qualsiasi gestione pensionistica obbligatoria, incluse le casse professionali, ovvero acquisita all’estero (stati Ue o Paesi convenzionati).

I «buchi» riscattabili. Il complessivo periodo ammesso al riscatto è massimo di cinque anni, anche non continuativi, ovviamente se non già coperto da contributi. Il periodo deve collocarsi dopo il 31 dicembre 1995 e prima del 29 gennaio 2019 (data d’entrata in vigore del dl n. 4/2019). La formulazione originaria della norma chiedeva che il periodo fosse compreso nei due estremi: data del primo contributo accreditato e data dell’ultimo contributo accreditato (di qualsiasi tipo obbligatorio, figurativo, riscatto). La legge di conversione n. 26/2019 ha sostituito le parole: «tra la data del primo e quella» con le seguenti: «tra l’anno del primo e quello», con l’effetto di modificare l’arco temporale del periodo riscattabile: compreso tra l’anno del primo contributo accreditato e l’anno dell’ultimo contributo accreditato. Attenzione; per individuare il primo e l’ultimo contributo si prendono a riferimento solo le gestioni indicate dalla norma (ossia assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti e le forme sostitutive ed esclusive della stessa, nonché le gestioni speciali dei lavoratori autonomi, e la gestione separata dell’Inps) e non anche le casse professionali o gli accrediti di stati esteri.

Efficacia del riscatto. Con la legge n. 26/2019 è stata introdotta la precisazione che i periodi oggetto di riscatto sono parificati a periodi di lavoro. La precisazione è molto rilevante perché, di conseguenza, rende l’anzianità contributiva acquisita per effetto del riscatto utile tanto ai fini del conseguimento del diritto quanto per la determinazione dell’importo della pensione.

L’onere di riscatto. In considerazione delle condizioni richieste per l’esercizio della facoltà, i periodi oggetto di riscatto sono necessariamente valutati secondo il «sistema contributivo». Il relativo onere, di conseguenza, viene fissato con il meccanismo del calcolo a «percentuale», ossia applicando l’aliquota contributiva di finanziamento in vigore nella gestione dove opera il riscatto alla data di presentazione della domanda di riscatto. La base di calcolo è costituita dalla retribuzione assoggettata a contribuzione nei 12 mesi meno remoti rispetto alla data della domanda ed è rapportata al periodo oggetto di riscatto.

La stessa retribuzione è attribuita temporalmente e proporzionalmente ai periodi di riscatto, mentre la rivalutazione del montante individuale dei contributi ha effetto dalla data della domanda di riscatto.

La domanda di riscatto. La presentazione della domanda di riscatto è possibile limitatamente al triennio 2019/2021. In particolare, può essere presentata dal 29 gennaio 2019 (entrata in vigore del dl n. 4/2019) fino al prossimo 31 dicembre 2021. La domanda va presentata dal diretto interessato e può anche essere presentata dal suo superstite o, entro il secondo grado, dal suo parente e affine. In tutte queste ipotesi l’onere versato è detraibile dall’imposta lorda nella misura del 50%, con ripartizione in cinque quote annuali costanti e di pari importo, nell’anno di sostenimento e nei quattro successivi. Limitatamente ai lavoratori del settore privato, la domanda può essere presentata anche dal datore di lavoro destinando, a tal fine, i premi di produzione spettanti al lavoratore. In tal caso, tuttavia, la domanda può essere presentata nel corso del rapporto di lavoro e l’onere versato è deducibile dal reddito d’impresa o da lavoro autonomo. Nei casi in cui la domanda sia presentata dal parente o dall’affine o dal datore di lavoro è necessario il consenso del soggetto interessato; in mancanza, la domanda è irricevibile per l’Inps.

Il pagamento del riscatto. L’onere di riscatto può essere versato in unica soluzione ovvero in rate mensili, ciascuna di importo non inferiore a 30 euro, senza applicazione d’interessi per la rateizzazione. Il numero massimo di rate possibili, inizialmente fissato a 60 dal dl n. 4/2019, è stato elevato a 120 con la legge di conversione n. 26/2019. L’accredito dell’intero periodo riscattato e i relativi effetti decorrono dalla data del saldo dell’onere. In caso d’interruzione del pagamento del riscatto è riconosciuto l’accredito di un periodo contributivo ridotto, corrispondente all’importo pagato.

La rateizzazione non può essere concessa nelle ipotesi in cui i contributi da riscatto debbano essere utilizzati per la immediata liquidazione di una pensione, diretta o indiretta, o nel caso in cui siano determinanti per l’accoglimento di una domanda di autorizzazione ai versamenti volontari; quando ciò avvenga nel corso della dilazione già concessa, la somma ancora dovuta andrà versata in unica soluzione.

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A pagare ci pensa anche il datore
Il riscatto dei «buchi» prevede che al pagamento del relativo onere possa provvedervi anche il datore di lavoro (solo per i dipendenti del settore privato). Ma una condizione. E cioè che avvenga con utilizzo dei «premi» eventualmente spettanti al lavoratore. Di fatto, dunque, si tratta di una mera operazione di «intermediazione» finanziaria: anziché erogare i premi al lavoratore, il datore di lavoro li impiega per pagare il riscatto contributivo. Via alternativa è quella del riscatto tramite i Fondi di solidarietà bilaterali, per la quale il relativo onere viene effettivamente posto a carico del datore di lavoro.
La possibilità, che rientra nei piani d’incentivo all’esodo, può avere l’effetto di decretare l’immediato diritto a pensione per il lavoratore interessato (ad esempio, mediante riscatto, il lavoratore con 62 anni d’età può raggiungere 38 anni di contributi necessari a quota 100).

Due le condizioni di praticabilità di questa ulteriore misura:

1) accordo aziendale o territoriale sul numero di lavoratori da assumere in sostituzione dei pre-pensionati tramite incentivi all’esodo;

2) pagamento da parte del datore di lavoro di tutti gli oneri sostenuti dai fondi bilaterali (assegni straordinari erogati ai lavoratori, più contributi e più onere di riscatto/ricongiunzione contributiva).

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