di Bianca Pascotto

Nullum crimen sine poena recita il brocardo latino che utilizziamo per definire il principio di tassatività penale; tale locuzione possiamo trasformarla e arbitrariamente reinventarla in nullum damnum sine culpa quando al cospetto di una pur erronea e colposa intermediazione, non corrisponde l’obbligo a risarcire il danno.

IL CASO

Tizio cita avanti la Tribunale di Marsala Zeta spa (istituto bancario) e tre suoi dipendenti, chiedendo il risarcimento della somma di € 107.035 per l’errata operazione di compravendita di titoli azionari e di ulteriori € 100.000 per non aver potuto attingere al mutuo richiesto per il recesso azionato dalla banca.

Il giudice di primo grado non accoglie la domanda di Tizio, in parte per intervenuta prescrizione ed in parte perché giudicata infondata.

Promosso gravame avanti alla Corte d’Appello di Palermo, le doglianze di Tizio vengono nuovamente respinte. La Corte, infatti, pur accertando l’errore in cui è incappata la banca per aver acquistato anziché venduto, come richiesto da Tizio, 40.000 azioni al prezzo di € 3,89 ciascuna, ha ritenuto che Tizio abbia volontariamente ratificato l’operato della banca, sottoscrivendo prima l’ (errato) ordine di acquisto e ordinando, poi, la vendita di tutte le 80.000 per il prezzo di € 3,93 ciascuna.

Per la Corte d’Appello l’aver acquistato e poi venduto ad un prezzo migliore, non solo non aveva determinato alcun danno a carico di Tizio, ma aveva, altresì, interrotto il nesso causale tra al condotta negligente dell’impiegato di banca e l’asserito danno.

Tizio chiede giustizia avanti la Corte di Cassazione.

LA DECISIONE

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