di Federico Unnia

Una grave violazione delle prescrizioni del Codice della strada, commesse dal dipendente che si trovi alla guida dell’auto aziendale, integra giusta causa di licenziamento. È quanto stabilito dalla Corte di cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza n. 9304 del 2021.
La pronuncia scaturisce dall’impugnazione giudiziale di un licenziamento, comminato ad un dipendente per aver commesso una grave infrazione stradale (nella specie un’immissione contromano) e per aver assunto atteggiamenti disdicevoli in presenza degli agenti di polizia stradale intervenuti per il sinistro. Il dipendente aveva cercato di giustificare la violazione adducendo non ben definite «ragioni di servizio», giungendo anche a intimidire gli stessi agenti.

Licenziato per giusta causa dal proprio datore di lavoro, era anche stato invocata la violazione del generale obbligo “di usare modi cortesi col pubblico e di tenere una condotta conforme ai civici doveri” previsto all’art. 220 Ccnl 1° luglio 2013 del terziario (contratto di lavoro applicato al lavoratore).

Secondo la Cassazione «le tipizzazioni delle ipotesi di giusta causa previste dalla contrattazione collettiva (Ccnl applicabile) hanno una mera valenza esemplificativa. Ciò significa che il giudice può procedere ad un giudizio sulla gravità della condotta del lavoratore, nonché sulla proporzionalità della sanzione irrogata, e riconoscere quindi la sussistenza di una giusta causa di licenziamento anche qualora i fatti contestati non rientrino nelle fattispecie di giusta causa tipizzate dal Ccnl di riferimento».

Per gli Ermellini, inoltre, nel giudizio di legittimità del licenziamento per giusta causa deve esser preso in considerazione il comportamento del dipendente anche alla stregua delle prescrizioni imposte dalle norme della comune etica o del vivere civile.

«Lo scrupoloso accertamento del comportamento del lavoratore (con esito conforme in entrambi i gradi di merito), condotto dalla Corte d’appello sulla base di un attento e critico scrutinio delle risultanze istruttorie, è insindacabile in sede di legittimità siccome di competenza esclusiva del giudice di merito essendo argomentato in modo più che adeguato», spiegano i supremi giudici.

La Cassazione ha infine ritenuto che si sia proceduto ad una corretta e motivata valutazione di proporzionalità, escludendo l’applicabilità di una sanzione conservativa non prevista dal Ccnl. E ciò ha fatto sia in riferimento all’elemento soggettivo, per la sufficiente rimproverabilità della condotta sotto il profilo della colpa, in modo inequivoco risultante dalla ricostruzione del suo comportamento non essendo richiesto un disegno premeditato e un generico intento doloso e rilevata l’omessa censura di negazione del rilievo delle condizioni di salute del lavoratore semplicemente richiamata, ma non confutata, sia in riferimento all’elemento oggettivo, compiutamente accertata».

La Corte territoriale – conclude la cassazione – «ha correttamente applicato i principi di diritto in materia di proporzionalità della sanzione disciplinare, che ne prevedono la commisurazione alla gravità dei fatti contestati, sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore nell’esercizio del suo potere disciplinare, avuto riguardo alle ragioni che lo hanno indotto a ritenere grave il comportamento del dipendente, sia da parte del giudice del merito, il cui apprezzamento della legittimità e congruità della sanzione applicata, se sorretto da adeguata e logica motivazione, si sottrae a censure in sede di legittimità».

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