di Angelo De Mattia
Dopo l’assemblea delle Generali del 29 aprile che ha approvato il bilancio chiuso con un utile di 2,9 miliardi, registrando la mancata partecipazione del gruppo Caltagirone, ci si cimenta sui possibili sviluppi anche se è diffusa l’opinione che la decisione dell’imprenditore romano sia una prima mossa nella prospettiva dell’assemblea del prossimo anno che dovrà decidere il rinnovo del cda della compagnia. Dal voto e dal comportamento degli altri partner è però emerso che per ora la posizione critica di Caltagirone – secondo azionista con il 5,6% alle spalle di Mediobanca che detiene una quota intorno al 13% – non trova convergenze con altri soci. Esiste un precedente più diretto: non quello di Bankitalia che ai tempi, secondo azionista delle Generali con circa il 5%, si astenne sul bilancio per contestare alcune scelte di governance, bensì quello di Vincent Bolloré, che non votò il bilancio in cda, ma che lo approvò invece in assemblea. Ciò dimostra la complessità del percorso per far valere atteggiamenti critici che, se non condivisi da altri soci, finiscono per ridimensionare la portata anche di quote importanti. Per fugare ipotesi riduttive, è comunque sempre opportuno fornire completi chiarimenti su scelte rilevanti che vengano compiute, come quella di non prendere parte all’assemblea e al voto.

Finora quel che si sa sembra riguardi la non condivisione, da parte del secondo azionista, dell’operazione Cattolica e di quella relativa all’acquisto del ramo danni di Axa in Malesia. È poi aperta la questione della nomina di un direttore generale che non sarebbe da tutti ritenuta essenziale. Rilievi – ammesso che siano effettivamente sostenuti da Caltagirone – che potrebbero sottendere un’organica e coerente posizione con una solida prospettiva oppure potrebbero essere critiche contingenti che non tocchino strategie e svolte, anche se, in quest’ultimo caso, si spiegherebbe meno, per ragioni di proporzionalità, l’assunzione di una misura forte quale il non voto in assemblea.
D’altro canto, qualsiasi approccio strategico non può non toccare anche il ruolo di Mediobanca, di cui Caltagirone è azionista all’1%. Nel corso della storia, i punti di forza di quest’ultima sono stati: la normativa speciale che dalla nascita e per lungo tempo le ha dato una posizione di carattere monopolistico, potendo svolgere tre funzioni: istituto a medio e lungo termine, merchant bank e holding di partecipazioni, il cui concorso era precluso ad altri istituti; il rapporto con le azioniste, proprietarie, banche d’interesse nazionale che, come ha ricordato Paolo Panerai, ha capovolto la naturale relazione per cui il soggetto partecipato – l’istituto di Enrico Cuccia – è diventato di fatto il «dominus» di tali banche; il ruolo di Raffaele Mattioli prima e di Enrico Cuccia poi, personalità straordinaria che non avrebbe potuto avere successori del suo livello; la quota Generali, pupilla dell’occhio per Cuccia che si concretava finanche nella durata annuale del mandato del presidente perché egli fosse di fatto avvertito che avrebbe potuto essere sostituito rapidamente; il livello non comune del personale. Oggi diverse di queste condizioni sono venute meno. In particolare, il rapporto Mediobanca-Generali non può ovviamente essere lo stesso dei tempi che furono. Sono in parte incombenti le problematiche che aveva rilevato a suo tempo il presidente del Leone, Cesare Geronzi, che aveva iniziato ad affrontarle con determinazione, quando un contrasto tra azionisti con una rivolta di palazzo pose fine a un’esperienza che avrebbe fatto guadagnare dieci anni alla compagnia. Oggi non saremmo a parlare d’innovazioni necessarie.

Comunque, non è più tempo di bilanciamenti, pesi e contrappesi, sortite e ripiegamenti. Se si desidera davvero voltare pagina, a cominciare dalla ricapitalizzazione e dalla governance, allora bisogna dirlo apertamente e con determinazione, confidando in possibili, autonome, non concordate convergenze. Un punto centrale è la formazione delle liste per le nomine degli esponenti aziendali attribuita al Cda uscente: una forma di «autocefalia» che ricorda le successioni dei sovrani. Se non si affrontano questi aspetti, allora si tratta di contese riduttive che, alla fine, possono lasciare il tempo che trovano e per le quali non vale neppure un particolare interesse delle cronache. (riproduzione riservata)

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