Per eventuali istituti in difficoltà è necessario preparare strumenti come le ricapitalizzazioni pubbliche precauzionali, avverte Visco nelle Considerazioni Finali. Alla prova le regole Ue sui dissesti

di Francesco Ninfole
Il Covid metterà di nuovo alla prova i meccanismi di gestione delle crisi bancarie in Europa, che si già sono rivelati molto problematici dopo la crisi finanziaria di dieci anni fa. Il tema è rimasto congelato negli ultimi mesi ma ora potrebbe riesplodere, soprattutto se le conseguenze economiche del virus saranno prolungate e colpiranno in modo rilevante le banche. L’Italia è stato il primo Paese a evidenziare la necessità di una revisione delle regole sulle crisi bancarie: si sono dimostrate troppo complesse e opache, oltre che potenzialmente pericolose per la stabilità finanziaria. Ma in seguito anche altri Stati, a fronte di dissesti di istituti domestici, hanno sperimentato sulla propria pelle l’opportunità di una revisione normativa.
L’Europa si stava così preparando ai negoziati (per quanto non certo semplici) per modifiche sostanziali dei meccanismi di gestione delle crisi. Il Covid però ha bruciato tutti sul tempo. E ora i Paesi potrebbero dover affrontare di nuovo le difficoltà di alcune banche con le vecchie regole, senza avere a disposizione modalità chiare ed efficaci per affrontare i fallimenti, come quelle invece presenti negli Usa.
Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco è spesso intervenuto in passato su questi temi. Nelle ultime Considerazioni Finali non si è soffermato sui difetti delle norme europee sulle crisi, ma ha evidenziato che bisogna prepararsi, perché potrebbe essere necessario applicarle ancora. «Nel medio periodo, malgrado i progressi conseguiti negli ultimi anni, la profondità della recessione non potrà non avere effetti sui bilanci bancari. L’aumento dei crediti deteriorati andrà affrontato per tempo, facendo ricorso a tutti i possibili strumenti, inclusi quelli per la ristrutturazione dei finanziamenti e la loro vendita sul mercato», ha detto Visco.
Dopo questa premessa, il governatore è arrivato a uno dei passaggi chiave dell’intervento: «Qualora dovesse rivelarsi necessario, si dovrà essere pronti a percorrere soluzioni che salvaguardino la stabilità del sistema, valutando il ricorso a strumenti che agiscano in via preventiva per banche che versino in una situazione di serie, anche se presumibilmente temporanee, difficoltà».
Il riferimento è allo strumento delle ricapitalizzazioni pubbliche precauzionali, utilizzato in passato per Mps. Si tratta di una delle poche eccezioni previste dalla Brrd, la direttiva che impone svalutazioni anche ai possessori di bond senior e ai depositanti oltre i 100 mila euro. La ricapitalizzazione preventiva ha invece consentito l’impiego di denaro pubblico facendo pagare il conto soltanto ad azionisti e creditori subordinati (quelli retail sono stati in parte rimborsati).
Per accedere a questa possibilità, una banca deve dimostrare di essere in deficit di capitale nello scenario avverso di uno stress test, senza però essere a rischio dissesto secondo la Bce. È proprio quanto accaduto per Mps. Al momento è questo l’unico modo che ha una banca medio-grande per non incappare nella svalutazione per obbligazionisti e correntisti (che finora ha reso di fatto inapplicabile il bail-in). Non è però un processo rapido né semplice, essendo coinvolte molte autorità, con obiettivi potenzialmente in conflitto tra loro.
La minaccia di perdite allargate ai risparmiatori è destinata a ridursi nel tempo: le banche stanno emettendo titoli specifici per un eventuale bail-in, secondo quanto previsto dalla regolamentazione nota come Mrel. Questi bond sono comprati da investitori istituzionali che ne conoscono i rischi, quindi non da clienti retail inesperti. Ma per il momento le banche non hanno ancora avuto il tempo di emettere tutti i titoli Mrel necessari.
Bisogna inoltre considerare che finora non si è mai verificato il caso di una risoluzione di una grande banca, a parte quello molto particolare del Banco Popular, che non ha avuto controindicazioni perché il compratore Santander è stato disponibile a versare 7 miliardi per il salvataggio. Una situazione decisamente rara, se non unica. Le modalità e gli effetti di una risoluzione di un grande istituto sul sistema finanziario restano tuttora ignoti.
Inoltre, per quanto potenzialmente pericolose, le regole europee sulle risoluzioni possono applicarsi soltanto a banche grandi: per quelle medio-piccole le incertezze sono ancora maggiori. Neppure la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono state considerate abbastanza grandi per una risoluzione. Eppure un fallimento di una banca di quelle dimensioni, o anche più piccola, potrebbe creare problemi rilevanti alla stabilità finanziaria, come ha mostrato proprio la vicenda delle banche venete.
Visco ha ricordato che alcuni istituti minori sono oggi i più vulnerabili alla crisi del Covid: «La caduta dell’attività produttiva potrebbe aggravare i problemi di alcuni intermediari non dotati di ampie riserve patrimoniali, in particolare banche di piccole dimensioni e con modelli di attività tradizionali», ha detto il governatore. «Valutiamo positivamente i recenti provvedimenti volti ad agevolare la gestione delle situazioni di crisi di questi intermediari, considerando le risorse allocate come una prima disponibilità di intervento». Il governo italiano, con l’implicito ok Ue, ha definito nel decreto rilancio una difesa per gli istituti con attivi inferiori a 5 miliardi: per questi sarà possibile un sostegno pubblico fino a 100 milioni in caso di liquidazione. Una protezione in più, ma che certo non basta da sola. Perciò Visco ha detto di continuare a guardare «con preoccupazione all’inadeguatezza del sistema europeo di gestione delle crisi bancarie».
Rispetto al passato ci sono alcuni fattori positivi da considerare. In generale le banche hanno più capitale rispetto a 5-10 anni fa (si veda grafico in pagina). Le bcc si sono rafforzate con la nascita dei gruppi cooperativi: proprio riguardo a questi istituti Visco ha sottolineato che «la capacità di ricorrere al mercato dei capitali è essenziale» e di conseguenza «passi indietro rispetto a quanto già realizzato costituirebbero un regresso grave e costoso». Inoltre la sentenza del Tribunale Ue del 2019 su Tercas ha riabilitato l’impiego del Fitd nelle crisi bancarie: la presenza del Fondo Interbancario, che era stata esclusa nel 2015 per le quattro banche regionali, è già stata decisiva per Carige e Popolare di Bari. Il Fitd può aiutare in casi specifici ma ha risorse limitate.
Sullo sfondo resta intanto la questione della bad bank e di un «approccio europeo» per sostenere le banche, attraverso ricapitalizzazioni preventive sul modello del Tarp, il piano americano del 2008. È stata questa la proposta del presidente dell’Eba Josè Manuel Campa. Anche in questo ambito però le attuali regole sul bail-in sono un freno decisivo. Visco, che in passato si è detto più volte a favore di una bad bank, non ha fatto riferimenti sul punto nelle ultime Considerazioni. Ma non è escluso che la Vigilanza Bce possa tornare a spingere per una asset management company europea dopo l’estate, sulla base dei risultati degli stress test sulla vulnerabilità delle banche europee al Covid.

Il patto sociale di Visco
Nelle Considerazioni Finali il governatore approva le mosse del governo per contrastare la crisi. Ma la grande incertezza indotta dalla pandemia ora impone un nuovo accordo tra istituzioni e ceto produttivo

di Angelo De Mattia
L’economia italiana, mentre stiamo attraversando la più grande crisi della storia recente, deve trovare la forza di rompere le inerzie del passato e recuperare una capacità di crescita da troppo tempo appannata perché non mancano le opportunità e il Paese ha i titoli per coglierle. È questo uno dei passaggi fondamentali delle Considerazioni Finali lette venerdì 29 dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Quanto alle valutazioni retrospettive, il governatore afferma che la reazione dei governi, delle banche centrali e delle autorità di vigilanza alla crisi indotta dalla pandemia è stata rapida e consistente. Si potrebbe discutere – si osserva qui – sui modi degli interventi, sulla non sempre adeguata organicità e su alcuni ritardi; tuttavia il giudizio complessivo, articolato in un’analisi delle singole misure adottate a livello europeo e nazionale, è convincente.

Ma i rischi, dovuti alla marcata caduta dell’attività economica e alla bassa inflazione che potrebbero tradursi nel riemergere della minaccia di deflazione, esigono una forte azione di contrasto. Tuttavia domina l’indeterminatezza delle prospettive: mai come in queste Considerazioni Finali la parola «incertezza» è stata così spesso ripetuta, mentre nei due scenari presentati per il 2020 la produzione industriale potrebbe subire una flessione del 9 o del 13% a motivo da un lato dei provvedimenti che hanno sospeso le attività e della conseguente contrazione del reddito e dall’altro dal rallentamento del commercio internazionale. Si profila, con il dissiparsi della pandemia, un mondo diverso, dice Visco. Dobbiamo ritrovare la via dello sviluppo. Bisogna accrescere l’efficacia della spesa pubblica e intervenire sulla struttura dell’economia. Le risorse possono venire da una ricomposizione del bilancio pubblico. Soprattutto occorre contrastare l’incidenza dell’economia sommersa e dell’evasione, che provocano ingiustizie e profondi effetti distorsivi, i quali si riverberano sulla capacità di crescere e di innovare delle imprese a danno del sistema produttivo e – bisognerebbe aggiungere – della giustizia sociale nonché dei corretti rapporti tra cittadini (non solo le imprese) e fisco. Di qui l’esigenza di una profonda riforma della tassazione, tenendo conto del sistema di protezione sociale, e la necessità di ricomporre il carico impositivo a beneficio dei fattori produttivi, ma anche – va osservato – a vantaggio di una migliore e più equa distribuzione degli oneri fiscali sui contribuenti. Deve crescere, sottolinea il governatore, la produttività del lavoro. Ma ciò significa, in particolare, un aumento dell’accumulazione di capitale fisico e immateriale nonché una crescita dell’efficienza produttiva. Insomma, il maggiore impegno di tutti i soggetti coinvolti nella produzione. La politica monetaria, che ha agito in maniera efficace, non può sostituirsi alla politica economica per innalzare il potenziale di crescita economica. Vengono qui in ballo i necessari interventi nel capitale umano, nelle infrastrutture, nella conoscenza, nella ricerca, nelle nuove tecnologie e nell’intelligenza artificiale, nel settore dell’intermediazione finanziaria nel quale dovranno estendersi le innovazioni digitali, nel turismo. Il debito pubblico è sostenibile, ma il suo elevato livello in rapporto al prodotto interno lordo è alimentato dalla bassa crescita, ossia dall’assottigliarsi del numeratore. Le banche hanno affrontato la crisi in una posizione di maggiore forza rispetto a quella in cui si trovavano prima della recessione del 2008. Ma la profondità della crisi avrà effetti evidenti anche sui bilanci bancari. Gli istituti sono coinvolti, oltre che nelle diverse iniziative di moratoria, nei finanziamenti assistiti da garanzie pubbliche. Visco al riguardo nota un «punctum dolens», attenuato da un emendamento al decreto Liquidità: le banche che omettano una valutazione del merito di credito anche per questi prestiti garantiti si espongono al rischio di commettere reati; si tratta di un aspetto da tempo sottolineato e ribadito su queste colonne.

Ma c’è da chiedersi, a conclusione di una densa e rigorosa serie di analisi e proposte che trovano una delle trattazioni particolarmente interessante e attuale nel paragrafo che affronta i rapporti tra Italia ed Europa anche con riferimento alle più recenti misure, quali siano le conseguenze per il governo e per il legislatore che scaturiscono dagli incontestabili problemi rappresentati. Verso la conclusione, aldilà della specifica formulazione adottata, Visco ha ipotizzato un nuovo rapporto tra governo, imprese dell’economia reale e dell’intermediazione finanziaria, istituzioni, società civile: una sorta di nuovo «patto sociale» nel quale non potrebbe non esservi anche la presenza – che qui si rileva – di chi lavora. Prima il governatore aveva citato Keynes con riguardo alle riforme per ridurre le disuguaglianze. Devono essere affrontate le debolezze strutturali che spesso non si vogliono vedere. La necessità di riforme permea tutte le Considerazioni Finali. Di riforme vi è però necessità anche in Europa, innanzitutto con riferimento al Patto di Stabilità e Crescita, come ha di recente sostenuto una personalità insospettabile quale la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde. La recentissima proposta della Commissione Ue «Next Generation Eu» viene apprezzata soprattutto come passo per il progresso dell’integrazione europea. Vi sarebbe bisogno allora di un grande e organico progetto di politica economica e sociale, di una svolta, che però non appare alle viste, mentre lo «stare insieme» è solo, al momento, un’aspirazione. Va bandito l’ottimismo retorico: Visco ha pienamente ragione. Ma forse le deduzioni di un pregevolissimo documento, quali sono le Considerazioni Finali, sono implicitamente lasciate a «provideant consules». Ci si spinge fino alla citazione – con toccata e fuga – di un nuovo contratto sociale. Ma, pur nel riferimento socratico al «sapere di non sapere», quanto più incisive sono le proposte e le sottolineature dei ritardi, tanto più dovrebbero fischiare le orecchie ai reggitori della cosa pubblica, che hanno ottenuto la sufficienza per quanto hanno fatto. Ora su di loro si riversa un giusto carico di impegni che non si sa se saranno in grado di assolvere. Tutto allora si riconduce alla speranza, alla quale Visco si è riferito. Vi è da augurarsi che non si tratti di «spes contra spem».
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