di Sergio Governale
Il benessere e la salute dei cittadini e dei lavoratori innanzitutto. Ma anche la possibilità per gli imprenditori di poter riaprire con serenità e costi accettabili, senza incorrere addirittura in sanzioni penali in caso di contagio da Covid-19 dei propri addetti. Per cercare di trovare un difficile, indispensabile equilibrio tra queste due esigenze, con la fase 2 dovranno necessariamente essere utilizzati al massimo grado, laddove possibile, lo smartworking e la tecnologia. Il suggerimento lo si ricava da due indagini condotte da Nomisma, una delle quali realizzata insieme con UniSalute, secondo cui l’high tech sarà sempre più determinante in futuro per la tutela sanitaria, a tutto vantaggio del sistema pubblico, in una parola del welfare.
In base ai dati dell’Osservatorio Lockdown di Nomisma raccolti prima della fase 2, l’abitazione si è trasformata in ufficio per il 9% degli occupati. L’aumento del ricorso al lavoro agile ha portato quasi 2 milioni di italiani a lavorare da casa. Una soluzione che vorrebbe essere portata avanti dopo la ripartenza. Il 56% di chi ha lavorato da casa durante il lockdown vorrebbe infatti proseguire a tempo ridotto, in particolare «qualche giorno al mese».
Sebbene forzati da una situazione di emergenza, osserva Nomisma, organizzazioni, aziende e lavoratori stanno sperimentando un nuovo modo di lavorare fatto di strumenti digitali e innovativi e accelerando un processo organizzativo e formativo che in tempi normali avrebbe richiesto anni. «È questo un traguardo da cui aziende e pubbliche amministrazioni non devono tornare indietro; è questa l’opportunità da cogliere per ripensare i processi produttivi alla luce di una «cultura dello smartworking», è il messaggio che arriva dalla società di consulenza.
L’importanza della tecnologia non si ferma al mercato del lavoro. Riveste un ruolo chiave altrettanto fondamentale in quello sanitario, come spiega l’indagine realizzata da Nomisma per UniSalute con l’osservatorio «Lockdown: come e perché sta cambiando le nostre vite».
Tutto parte dalla possibilità di verificare lo stato di salute proprio e degli altri. Secondo l’indagine, il 73% degli italiani vorrebbe che si potesse ricostruire in modo sicuro ed efficace la rete di contatti di chi viene rilevato positivo. Con riferimento alle azioni di contenimento della diffusione del virus in grado di garantire una sicura ripartenza, il 68% delle persone considera determinante poter effettuare il tracciamento degli spostamenti individuali (attraverso un’app o il controllo dei dati telefonici), una delle misure più dibattute per motivi di privacy. In generale, la possibilità di ricostruire la rete di relazioni delle persone positive al Covid-19 per permettere la quarantena preventiva dei soggetti con cui sono stati in contatto e quindi contenere il rischio di contagio è un’azione importante da adottare per l’88% degli italiani.
La tecnologia potrebbe rivelarsi un valido alleato anche a livelli più direttamente sanitari, in particolare ampliando l’uso della telemedicina. Secondo il 61% delle persone, la tecnologia giocherà un ruolo importante nella gestione della sanità anche una volta superata l’emergenza Coronavirus. E il 57% degli italiani, consapevoli che il sistema sanitario sia sottoposto da mesi a un forte stress, pensa che possa essere importante l’aumento della sinergia tra sanità pubblica e privata per supportare la diffusione della telemedicina.
Le riflessioni riguardano anche le abitudini individuali: sei italiani su dieci (il 58%) dichiarano che, anche una volta rientrata l’emergenza sanitaria, continueranno a fare una particolare attenzione all’igiene, mentre il 40% si propone di adottare un’alimentazione più sana e il 34% vuole dedicare più tempo allo sport e all’attività fisica. Nell’ambito della prevenzione, il 23% è infine intenzionato a sottoporsi a un maggior numero di screening e visite specialistiche. Il tutto a vantaggio della sanità pubblica, con un notevole risparmio di costi per le cure. (riproduzione riservata)

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