di Carlo Giuro
L’Inps di recente ha chiarito che non ritiene possibile il trasferimento alla previdenza complementare del trattamento di fine rapporto (tfr) maturato dai dipendenti di aziende che abbiano più di 50 dipendenti. Va infatti ricordato che in base alla normativa sul silenzio assenso nel caso in cui il dipendente entro il semestre decida di non aderire ai fondi pensione, non conferendo il proprio tfr, l’azienda lo manterrà al proprio interno solo se abbia meno di 50 dipendenti; nel caso di un maggior numero di lavoratori invece dovrà trasferirlo presso lo specifico Fondo di Tesoreria presso l’Inps, usufruendo di specifiche misure compensative per attenuare il costo della perdita di una significativa fonte di autofinanziamento. L’ente previdenziale sottolinea che il finanziamento del Fondo di Tesoreria ha luogo con modalità rispondenti al principio della ripartizione ed è alimentato da un contributo pari alla quota di cui all’articolo 2120 del codice e non destinata alle forme pensionistiche complementari.

Il contributo, al cui versamento sono tenuti i datori di lavoro del settore privato che abbiano alle proprie dipendenze almeno 50 addetti, è versato mensilmente dagli stessi datori di lavoro al Fondo. L’Inps evidenzia ancora come tale contributo assume la natura di contribuzione previdenziale con conseguente applicazione delle disposizioni in materia di accertamento e riscossione dei contributi previdenziali obbligatori, con esclusione di qualsiasi forma di agevolazione contributiva. Viene ancora sottolineato che le prestazioni erogate dal Fondo sono soggette al generale principio di automaticità e, pertanto, nel calcolo delle stesse vanno considerati anche eventuali contributi omessi, purché ricompresi nell’ambito del vigente periodo prescrizionale.
Quindi il Fondo di Tesoreria è configurabile come una gestione di natura previdenziale per cui le quote di tfr versate soggiacciono al regime della indisponibilità, ferme restando le ipotesi di pagamento anticipato del tfr versato al Fondo di Tesoreria nei casi e nei limiti normativamente previsti. Si ritiene anche che l’istituto della portabilità delle quote di tfr pregresse non possa trovare applicazione qualora tali quote siano accantonate a Fondo di Tesoreria. Più nello specifico l’ordinamento vigente non prevede che il lavoratore possa esercitare la facoltà di trasferire il tfr pregresso dal Fondo di Tesoreria al fondo di previdenza complementare al quale, successivamente, ha scelto di aderire. Va invece ricordato, per i dipendenti di aziende con meno di 50 dipendenti come la Covip, con due risposte a un quesito nel 2009 e nel 2014, ha invece ritenuto possibile il trasferimento del tfr maturato, anche alla luce della Circolare dell’Agenzia delle Entrate n.70/E del 18 dicembre 2007 che ha fornito un chiarimento poi confermato anche in via normativa dalla legge finanziaria per il 2008.
Il versamento del trattamento di fine rapporto pregresso costituisce allora, laddove consentito, una importante possibilità di finanziamento aggiuntivo della posizione di previdenza complementare per tutti i lavoratori aderenti che hanno precedentemente maturato il tfr in azienda. Lo sottolinea il Mefop in uno specifico approfondimento in cui sottolinea in particolare che in considerazione del versamento in neutralità di imposta è offerta una valida alternativa alla contribuzione volontaria eccedente il plafond di deducibilità, soprattutto per quei soggetti che, pur vicini alla data del pensionamento, non hanno ancora provveduto a crearsi un solido e congruo strumento di previdenza complementare.
In base all’articolo 19, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi, infatti, le somme e i valori destinati alle forme pensionistiche complementari non si considerano fiscalmente come anticipazioni. Solo al momento della liquidazione, prosegue il Mefop, le prestazioni vengono assoggettate a tassazione. (riproduzione riservata)

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