Antonio Ciccia Messina

Scudo civile per i datori di lavoro per arginare il rischio di pagare i danni ai dipendenti contagiati dal coronavirus in azienda. Ma la strada è in salita per vaghezza della norma. È quanto desumibile dall’articolo 29-bis, frutto di un emendamento parlamentare al d.l.«liquidità» (n. 23/2020), che lascia aperto il problema dello scudo penale. A questo proposito, le imprese possono gestire il rischio penale, escludendo o minimizzando la responsabilità per colpa, stilando puntuali protocolli aziendali anticovid (punto 13 del protocollo nazionale 24/4/2020).
L’articolo 29-bis vuole dare una risposta alle preoccupazioni dei datori lavoro di essere chiamati a rispondere penalmente e civilmente per l’influenza da Covid-19 contratta dai dipendenti sul luogo di lavoro (per l’Inail è malattia professionale). In questo quadro l’articolo 29-bis attribuisce, in astratto, a una serie di azioni del datore di lavoro l’effetto di ritenere adempiuto l’articolo 2087 del codice civile (tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore). L’oggetto delle azioni non è descritto dall’articolo 29-bis, ma dovrebbe essere descritto in altre fonti, alle quali si rinvia.
Le fonti oggetto del rinvio sono costituite da: accordi nazionali (protocollo 24/4/2020, allegato al Dpcm 26/4/2020); 2) protocolli e linee Guida adottati dalle regioni o dalla Conferenza regioni e province autonome (articolo 1, comma 14, d.l. n. 33/2020); 3) protocolli o accordi settoriali. L’articolo 29-bis impone al datore di lavoro di fare applicazione, adozione e mantenimento di prescrizioni e misure. Si noterà la numerosità dei rinvii, che rende difficilissimo anche solo individuare la fonte vigente in un caso concreto.
Le difficoltà si amplificano se si vuole individuare la condotta specifica da tenere. Si ipotizzi che, nonostante questa selva di rinvii, si sia individuata una fonte, ad esempio il protocollo 24/4/2020. Ora, si consideri che questo protocollo non esprime solo regole «cogenti», chiare e precise. Si trovano, infatti, numerose indicazioni formulate come possibilità, esemplificazioni, obiettivi di massima: insomma, ci sono espressioni vaghe e aperte a una pluralità di interpretazioni. Il risultato è che l’articolo 29-bis è difficilmente applicabile sia perché esso non formula un precetto autonomo, sia perché rinvia a una pluralità di fonti, contenenti espressioni vaghe con possibilità amplissima di discrezionalità interpretative. Altrimenti detto, l’articolo 29-bis non è innovativo, ma tutt’al più ripetitivo di disposizioni negoziali, di linee guida, protocolli già emessi o di futura emanazione.

Ma ipotizziamo di essere riusciti a trovare la fonte e anche la condotta specifica e chiediamoci quale sia la portata dell’articolo 29-bis. Esso si limita a constatare che osservare quella condotta costituisce adempimento all’obbligo di cui all’articolo 2087 codice civile.
Si consideri, però, che l’articolo 29-bis non dice che è sufficiente rispettare quella regola specifica (in ipotesi rintracciata) per adempiere l’articolo 2087; in sostanza l’articolo 29-bis non esclude che la responsabilità civile del datore, ex articolo 2087, possa essere contestata per altre azioni od omissioni non contemplate nella pluralità di fonti cui l’articolo 29-bis stesso rinvia. Insomma, l’articolo 29 bis non è uno scudo protettivo omnicomprensivo da responsabilità civile. Ma, anche per questa ragione, non lo è neppure della responsabilità penale, considerato che di quest’ultima non se ne fa menzione espressa: questa responsabilità potrebbe essere sempre imputata per omissioni e azioni contemplate sia dal codice penale (articoli 437 e 451) sia da altre norme penali (come le disposizioni del dlgs 81/2008).
Per tentare di minimizzare la responsabilità penale a titolo di colpa, si potrebbe fare riferimento alle disposizioni del codice penale sulla colpa e cioè l’articolo 43 che imputa, appunto, a titolo di colpa l’inosservanza di una norma precauzionale. A questo scopo si potrà utilizzare il rinvio che il protocollo 24/4/2020 fa al comitato aziendale Covid, tenuto ad applicare il protocollo. Se il comitato Covid (quello aziendale o quello territoriale, si veda il punto 13 del protocollo nazionale) individua il dettaglio delle azioni a carico del datore di lavoro, questo dettaglio non potrà non essere preso in considerazione sia ai fini della responsabilità civile sia della responsabilità penale, anche a riguardo dell’esclusione
Oltre 43 mila i contagi denunciati
Sono 43.399 i contagi da nuovo Coronavirus di origine professionale denunciati all’Inail tra la fine di febbraio e il 15 maggio, circa seimila in più rispetto ai 37.352 della rilevazione del 4 maggio. I casi di infezione con esito mortale registrati nello stesso periodo sono 171, 42 in più rispetto al monitoraggio precedente, e circa la metà riguarda il personale sanitario e socio-assistenziale, con i tecnici della salute e i medici al primo posto tra le categorie più colpite. E’ quanto emerge dal terzo report sui contagi sul lavoro da Covid-19.
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