La cessione di PartnerRe da parte di Exor è soltanto una delle operazioni che l’emergenza ha fatto saltare o rallentato. Da Fca a Tim fino a Essilux, tante aziende sono pronte a modificare i piani strategici

di Luciano Mondellini
La regola è semplice e logica: se un’acquisizione è stata ideata con pagamento cash, ha ampie probabilità di non andare in porto. Se invece è stata studiata con scambi azionari, allora le chance che vada a buon fine sono superiori. Anche se il momento rende tutto più complicato.
La pandemia di coronavirus sta infatti mettendo a dura prova il mondo degli affari a livello globale e molte operazioni annunciate prima dell’esplosione del Covid 19 stanno trovando grandissime difficoltà o quantomeno le parti stanno rivedendo le regole di ingaggio. Non a caso (si osservi il grafico in pagina) il 2020 che era iniziato bene per quanto riguarda i valori delle operazioni m&a nel primo trimestre, sembra ora destinato a diventare l’anno peggiore degli ultimi decenni.
L’episodio più clamoroso è avvenuto in settimana quando è definitivamente tramontata la cessione da parte di Exor del riassicuratore PartnerRe ai francesi di Covéa. L’operazione prevedeva il pagamento di 9 miliardi di dollari cash per essere finalizzata, ma di fronte alla richiesta da parte dei transalpini idi uno sconto di circa 2,5 miliardi di dollari per le mutate condizioni del business, John Elkann, presidente della holding di casa Agnelli, ha preferito non trattare sul prezzo e tenere PartnerRe nel suo portafoglio. Il giorno seguente la borsa ha punito la decisione del nipote dell’avvocato Giovanni Agnelli facendo crollare il titolo Exor del 7%. Ma è ancora presto per dire chi abbia avuto ragione, il risultato infatti si vedrà soltanto nel medio termine.

Sempre in casa Agnelli, Fca e Psa (articolo in pagina 20) stanno facendo il possibile per mandare avanti la fusione annunciata poco prima di Natale. Forti del fatto che è essenzialmente un’operazione carta con carta. Mentre laddove esistono componenti cash, il problema viene risolto alla radice. In settimana infatti le due case hanno deciso di comune accordo di non distribuire il dividendo ordinario da 1,1 miliardi ciascuna sul 2019 per mantenere inalterati i rapporti di forza che dovranno condurle alle nozze. La rinuncia alla cedola peraltro ha consentito al Lingotto, come ha rivelato MF-Milano Finanza venerdì 15 maggio, di potere chiedere prestiti con garanzie statali alla Sace per 6,5 miliardi. Mentre per quanto riguarda la cedola straordinaria da 5,5 miliardi, per i soci Fca tutto è rimandato al primo trimestre 2021, quando è in programma il closing dell’operazione con Psa.
Sul fronte bancario la pandemia sta complicando, ritardandolo, l’esito dell’altra operazione dell’anno, ovvero l’offerta pubblica di sottoscrizione di IntesaSanpaolo su Ubi Banca. Ciò detto, va segnalato che l’istituto guidato da Carlo Messina è determinato a condurre in porto l’operazione. Nello stesso modo anche l’entrata del colosso americano del private equity Kkr nel capitale della rete secondaria di Tim (con una quote del 40%) sta subendo rallentamenti a causa dell’impasse legata al coronavirus. Tanto che ormai se ne riparlerà a settembre.
Un altro deal con controparte italiana in stand-by è l’acquisizione da 7,2 miliardi della società olandese GrandVision (produttrice di lenti) da parte del colosso dell’occhialeria Essilor Luxottica. L’operazione è ufficialmente bloccata per motivi di antitrust (la decisione è attesa per il 13 agosto). Ma attendendo il verdetto delle autorità europee va segnalato che, secondo quanto trapela, non sarebbe escluso che il patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio, approfittando del periodo di magra legato al coronavirus, possa tentare la stessa carta che ha chiesto (invano) il management di Covéa a John Elkann. E quindi chiedere uno sconto ai soci di GrandVision. Una clausola non prevista dal contratto di vendita, ma che segnalerebbe come le valutazioni che si erano fatte ad agosto 2019 (quando l’operazione è stata annunciata) non siano più in linea con i parametri post-Covid.
Sempre nel mondo della moda/luxury va poi segnalata la vicenda società di gioielleria vicentina Fope (articolo qui sopra), mentre nel settore ristorazione la cessione da circa 700 milioni della società Cigierre (che gestisce tra gli altri la catena Old Wild West) è praticamente ferma. In attesa che passi la buriana legata al coronavirus.

Anche all’estero l’effetto pandemia sta mietendo numerose vittime tra i deal che erano stati annunciati ma non ancora conclusi. Il caso più eclatante, anche perché il settore dell’aviazione civile rappresenta uno dei comparti simbolo della crisi innescate dalla pandemia, è la rottura delle trattative per l’acquisizione (da 4,2 miliardi di dollari) della società brasiliana Embraer da parte del colosso statunitense Boeing. Il deal è definitivamente tramontato, ma non senza una coda polemica con gli stracci che sono volati tra gli Usa e il Brasile. Boeing infatti ha spiegato che il passo indietro era una scelta inderogabile vista la contrazione del traffico aereo dovuta al virus. La cosa però non è piaciuta a Embraer, che ha accusato gli statunitensi di aver agito in modo pretestuoso e che le vere ragioni dello stop all’operazione sono da ricercarsi nei problemi finanziari e di reputazione di Boeing dopo il flop dei velivoli Max 737.

Sempre il coronavirus è stato il motivo per cui il colosso delle stampanti americano Xerox ha rinunciato alle mire sulla connazionale Hewlett Packard. Il tutto dopo che nei mesi scorsi Xerox era arrivata addirittura a lanciare un’opa ostile da 33,5 miliardi sulla società obiettivo.
Infine, ma non certo meno importante, va segnalato come nel mondo della moda L Brand si sia dovuta tenere in portafoglio il famoso marchio di lingerie Victoria’s Secret rinunciando a un incasso da 525 milioni di dollari. La crisi economica scatenata dalla pandemia di Covid-19 ha fatto saltare l’operazione, che avrebbe portato il marchio tra gli asset del fondo Sycamore Partners. Secondo gli accordi Sycamore Partners avrebbe dovuto pagare 525 milioni di dollari per assumere il controllo del brand (55% del capitale), mentre L Brands avrebbe mantenuto una quota di minoranza del 45%.Il 22 aprile, però, il fondo si è tirato indietro a causa delle conseguenze dell’emergenza coronavirus e l’accordo è finito in tribunale. (riproduzione riservata)

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