A cura di Gigi Giudice

Nei deprecati tempi di coronavirus, in cui le rigidissime cautele messe in atto dal Governo vietano ogni contatto tra persone, parrebbe impensabile e temerario organizzare un seminario secondo i canoni tradizionali. Per fortuna ci sono le risorse della tecnologia capaci di superare l’ostacolo, ricorrendo al Webinar, un neologismo cui – da reclutati in casa – stiamo facendo l’abitudine e che significa “seminario via web”. In cui la partecipazione dei relatori e del pubblico alla videoconferenza si realizza mediante una piattaforma informatica che consente di seguire l’evento “in remoto”. Ovvero, stando ognuno davanti allo schermo del proprio personal computer, avendo la possibilità di vedere e ascoltare cosa viene detto e interagire, intervenire nel dibattito.

Come è successo la mattina di sabato 2 maggio. Lo Studio Vinci & Partner, utilizzando il sistema Zoom Meeting, ha coinvolto un team di giuristi e un centinaio fra assicuratori, medici e addetti ai lavori della rc medica, sul tema “Normare l’emergenza: le ricadute della crisi sanitaria sui regimi di responsabilità civile e penale degli operatori e delle strutture sanitarie”.

A condurre e moderare l’incontro è toccato a Paolo Vinci, direttore del dipartimento “Diritto Sanitario” dell’Università Meier di Milano, oltre che fra i maggiori esperti sui temi della responsabilità sanitaria.

Riferendosi anche a quanto già dibattuto e capitalizzato nel convegno del 14 febbraio scorso sul “macrodanno alla persona”, svoltosi nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano e i cui atti sono già disponibili.

Per Paolo Vinci l’eccezionalità della pandemia vede affacciarsi problematiche mai affrontate dalla giurisprudenza e che andranno chiarite.

Pare scontata l’eventualità delle cause intentate dai familiari delle vittime nei confronti dei medici e del personale sanitario per presunte negligenze. Mentre – da come si è evoluta la pandemia e dai fatti conclamati emergenti – per la stragrande maggioranza delle situazioni sarebbe da chiamare in causa l’amministrazione statale, clamorosamente impreparata nel fornire condizioni e strumenti adeguati a far fronte all’evento più catastrofico mai registrato, tale da mietere decine di migliaia di vittime nell’arco di un trimestre. Considerando anche che tale imprevidenza è costata il sacrificio di centinaia di vittime

La situazione è talmente ancora allo stato magmatico che esprimere valutazioni sui possibili scenari determinati dalle paure fra il personale sanitario causate dalla pandemia e sulle conseguenze che andranno a incidere sulla giurisprudenza diventa davvero arduo. E’ questo il giudizio espresso da Matteo Caputo, docente all’Università Cattolica di Milano.

Mentre Giuliana Messina, giudice della quinta sessione penale del Tribunale di Milano , ha sottolineato come la buona scienza entri nel processo penale e metta chi deve giudicare nelle condizioni di farlo con cognizione di causa. Pur in un contesto di totale emergenza, che ha indotto al reclutamento di medici e di personale sanitario impreparati. Non dimenticando anche gli episodi di contaminazione da virus procurati vicendevolmente. Da pazienti a medici e da medici a pazienti.

Elsa Valeria Mignone, procuratore aggiunto della Procura di Lecce, ha argomentato sul nesso causale, richiamandosi a quanto prodotto in argomento dal professor Federico Stella. Nel valutare situazioni quali emergono dall’ eccezionale impatto della pandemia, si deve tener conto dell’emergenza che la classe medico-sanitaria si è trovata e si trova ad affrontare.

Pertanto va valutato ogni singolo caso concreto, andando a fondo anche sulle carenze in termini di supporti messi a disposizione dal sistema sanitario.

Un caso che conferma tale asserzione – caso verificatosi nel Salento – evidenzia le contingenze di cui occorrerà tener conto per una giusta valutazione della colpa del medico coinvolto.

Roberto Tanisi, presidente del Tribunale di Lecce, si e’ soffermato sull’apprezzamento che il ruolo della professione medica e degli operatori sanitari si è conquistato sul campo nell’affrontare la pandemia.

Al punto che fra i gruppi parlamentari si e’ arrivati a ipotizzare una proposta di legge che funge da scudo penale. Dunque i medici promossi da possibili soggetti a pesanti giudizi infamanti a pubblici eroi.

In ogni caso, per gli scenari futuri, permane la delicatezza del problema della definizione della colpa.

Irene Vinci, avvocato del Foro di Milano, esposta una panoramica sul “dopo” la Legge Gelli, si è posta la domanda se non stiamo confermando lo stile “gattopardesco” del fingere di ribaltare tutto perché poi non cambi nulla.

Certamente, nell’accertamento delle responsabilità occorrerà concentrarsi sul singolo caso concreto. Considerando anche l’eccezionalità della pandemia.

Di fronte al fatto che 150 medici hanno perso la vita non si può rimanere insensibili. Quando è accertato che la situazione di emergenza prodotta dal diffondersi del coronavirus è di tale portata che si possa escludere la colpa del medico.

Occorrerà semmai chiamare in causa chi, dall’alto, non ha posto le giuste contromisure, senza alcuna previsione dell’evento, chi non ha adottato gli opportuni protocolli. In effetti, le strutture sanitarie ed in molti casi accertati, il rifiuto al ricovero di un contagiato, poi morto, a causa della mancanza di posti letto nella struttura, possono essersi trovate, all’improvviso, nella cogente impossibilità di prestare cure per carenze endemiche di mezzi e personale.

A confermare la eccezionalità dell’impatto con il coronavirus è venuta la dichiarazione finale di Paolo Vinci. Che ha posto l’accento sulle cronache quotidiane dei media e delle televisioni di questi mesi. Commenti e cronache su cui si è polarizzata l’attenzione degli italiani “consegnati nelle loro abitazioni”. Che hanno fatto emergere come i medici e il personale sanitario siano rimasti vittime – si è già detto del tributo di medici e sanitari morti per essere stati contaminati dal virus trasmesso loro dai pazienti – della mancanza di dispositivi che facessero da scudo al coronavirus.

Di fronte allo spirito di sacrificio ed all’abnegazione che in moti casi e’ costato la vita, i medici sono stati proclamati “eroi”. L’opinione pubblica ne è consapevole.

Per questo motivo, quando si dovesse discutere in un’aula di tribunale su una causa collegata al coronavirus, è certo che non si arriverà neppure a sfiorare la parola malpractice. E tutto ciò con conseguenze concludenti per il mondo assicurativo che, vicino ad un quadro simile, respingerebbe ogni richiesta risarcitoria.

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