di Daniele Cirioli

Non c’è equazione tra riconoscimento dell’indennizzo Inail per il contagio Covid-19 sul lavoro e responsabilità del datore di lavoro. Infatti, il riconoscimento dell’origine professionale del contagio si basa su un giudizio di ragionevole probabilità che è del tutto avulso da qualunque valutazione sull’imputabilità di eventuali comportamenti omissivi del datore di lavoro che possano aver causato il contagio. A ribadirlo è l’Inail nella circolare n. 22/2020, con placet del ministero del lavoro (nota prot. n. 5239/2020), nel mettere la parola fine alle questioni relativi ai profili di responsabilità, civile e penale, del datore di lavoro in caso di contagio da Covid-19 dei dipendenti.
Principi decennali. L’art. 42 del decreto Cura n. 18/2020 stabilisce che l’infezione Covid-19 contratta in occasione di lavoro è tutelata come infortunio sul lavoro. La norma, spiega la circolare, riafferma principi vigenti da decenni secondo cui le patologie infettive contratte in occasione di lavoro vanno sempre inquadrate e trattate come infortunio, perché la causa virulenta è equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio. Così avviene da sempre, ad esempio, con l’epatite, la brucellosi, l’Aids, il tetano.
Il contagio da Covid-19. Sulla base di tali principi l’Inail, nella circolare n. 13/2020 (si veda ItaliaOggi del 7 aprile), ha spiegato che, ai fini dell’accertamento dell’infortunio Covid-19, si seguono le stesse linee guida degli altri casi di malattie infettive e parassitarie (circolare Inail n. 74/1995), cioè secondo due criteri principali (si veda tabella).
Nessuna facile equazione. In base a tali principi, aggiunge l’Inail, non vanno confusi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo con quelli sulla responsabilità penale e civile del datore di lavoro: i secondi, infatti, vanno accertati con criteri diversi da quelli (suindicati) per il riconoscimento della tutela Inail. Il che significa, prosegue la circolare, che il riconoscimento di una prestazione da parte Inail non assume mai rilievo per sostenere l’accusa, in sede penale o civile, del datore di lavoro. A suo sostengo l’Inail richiama la giurisprudenza, tra cui la recente sentenza n. 3282/2020 della cassazione: «(…) non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportato imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto”.
Quando c’è responsabilità del datore? Esclusa l’equazione con il riconoscimento della tutela Inail, resta fermo che la responsabilità in capo al datore di lavoro è ipotizzabile in caso di violazione di legge o obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche. Nel caso Covid-19, tali violazioni riguardano protocolli e linee guida governativi e regionali di cui all’art. 1, comma 14, del dl n. 33/2020. Il rispetto di tali misure di contenimento, insomma, basta a escludere la responsabilità del datore. Ciò non vale, invece, sul versante della tutela: il rispetto delle misure di contenimento, in altre parole, non esclude il diritto alle prestazioni Inail nei casi di contagio Covid-19, non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero. Un’altra circostanza, questa, conclude l’Inail, che ancora una volta porta a sottolineare l’indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo da quello giudiziario.


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