Datore responsabile se tace sui rischi. Lo ribadisce la recente ordinanza n. 8988 emessa dalla Corte di Cassazione il 15 maggio 2020. Una summa che nel solco degli orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati in tema di infortuni sul lavoro, riassume schematicamente i criteri da utilizzare per la ripartizione delle responsabilità, laddove il datore di lavoro, al fine di “scagionarsi”, attribuisca al lavoratore la colpa esclusiva o concorrente nella causazione dell’indicente di cui è rimasto vittima.

di M. SCHIAVONE e MR. OLIVIERO

La Suprema Corte ha proposto la propria lettura dell’art. 1227 c.c. in materia di rapporto di lavoro subordinato, alla luce delle norme che attribuiscono al datore di lavoro il potere di direzione e controllo ed il dovere di salvaguardare l’incolumità dei lavoratori.

Gli Ermellini hanno, dunque, distillato i seguenti principi di diritto: « Nel caso di infortunio sul lavoro, deve escludersi la sussistenza di un concorso di colpa della vittima, ai sensi dell’art 1227, comma 1, c.c., quando:

  • risulti che il datore di lavoro abbia mancato di adottare le prescritte misure di sicurezza;
  • oppure abbia egli stesso impartito l’ordine, nell’esecuzione puntuale del quale si sia verificato l’infortunio;
  • o ancora abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato una adeguata formazione ed informazione sui rischi lavorativi, ricorrendo, in tali ipotesi, l’eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera occasione dell’infortunio, ed è perciò giuridicamente irrilevante».

Partendo da tale presupposto, la Corte di Cassazione ha tratto il corollario in base al quale, anche quando la condotta della vittima di un infortunio sul lavoro possa astrattamente qualificarsi come imprudente, debba escludersi qualsiasi concorso di colpa a carico del danneggiato nelle tre seguenti ipotesi:

  • l’infortunio è stato causato dalla puntuale esecuzione di ordini datoriali;
  • l’infortunio è avvenuto a causa della organizzazione stessa del ciclo lavorativo, impostata con modalità contrarie alle norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni, o comunque contraria ad elementari regole di prudenza;
  • l’infortunio è avvenuto a causa di una mancanza di formazione od informazione del lavoratore, ascrivibile al datore di lavoro.

Mentre nei primi due casi non può esservi dubbio alcuno in merito all’esclusiva responsabilità del datore di lavoro, che avrebbe di fatto messo in pericolo il lavoratore, nel terzo caso, ossia nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia creato la situazione di pericolo di cui è rimasto vittima, è necessario chiarire quale sia l’ampiezza delle conoscenze (formazione informazione) che il datore di lavoro è obbligato a trasmettere al lavoratore per assolvere l’obbligo che la legge pone a suo carico.

L’obbligo di formazione, disciplinato dall’art. 27 del D.Lgs. n. 81/2008, non pone particolari dubbi, atteso che, nel trasmettere al lavoratore le nozioni necessarie allo svolgimento della prestazione da parte di quest’ultimo, il datore di lavoro non avrà alcuna particolare difficoltà a riconoscere e segnalare i rischi connessi al prevedibile diligente svolgimento delle mansioni affidate al lavoratore.

Più complessa è la questione relativa all’individuazione dell’ampiezza e specificità delle informazioni che il datore di lavoro dovrà fornire; ossia se tali informazioni debbano avere ad oggetto solo le materie elencate all’articolo 36 del D.Lgs. n. 81/2008 (per esempio sui rischi specifici cui i dipendenti sono esposti in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia), oppure se tali informazioni debbano contemplare anche i rischi che l’ambiente e gli strumenti di lavoro potrebbero comportare per il lavoratore che agisca in maniera gravemente imprudente.

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