I nuovi strumenti hanno un bonus fiscale dieci volte maggiore rispetto ai Pir classici. Possono investire in pmi, quotate e non, e comprare il loro debito. Gli effetti attesi su Piazza Affari

di Elena Dal Maso
Molto più elastici nella composizione, con una potenza di fuoco dieci volte superiore rispetto alle precedenti emissioni, i nuovi Pir, per quanto solo su carta, stanno ricevendo un’ottima accoglienza dal mercato. La normativa rientra nel decreto Rilancio, appena approvato dal governo, all’articolo 143. Si tratta, nel concreto, di una forma parallela di Piani individuali di risparmio rispetto a quelli vigenti. Il modello nuovo prevede l’investimento di almeno il 70% del fondo in società che non appartengono al paniere Ftse Mib e al Ftse Mid e possono non essere quotate, mentre il 30% delle quote del fondo è libero di essere collocato a discrezione del gestore, che può comprare blue chip come Eni o Intesa Sanpaolo, ma anche oro o titoli di Stato. Il testo di legge parla di «piani di risparmio a lungo termine che, per almeno i due terzi dell’anno solare di durata del piano, investano almeno il 70% del valore complessivo, direttamente o indirettamente, in strumenti finanziari, anche non negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione, emessi o stipulati con imprese residenti nel territorio dello Stato».
La norma permette fra l’altro a ciascuna persona di sottoscrivere un Pir classico e un nuovo Pir. I gestori, poi, e questa è un’altra novità, sono liberi di acquistare quote delle aziende ma anche il loro debito. Inoltre chi sottoscrive i nuovi Pir beneficia di una defiscalizzazione sulle plusvalenze fino un investimento massimo di 150mila euro l’anno rispetto ai 15mila euro dei Pir classici per un totale, distribuito in dieci anni, di 1,5 milioni di euro. Ai nuovi pir sono interessanti anche gli investitori istituzionali, come i fondi pensione, per i quali le sgr stanno studiando prodotti dedicati, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza. Anche se il tetto è stato notevolmente alzato, questi prodotti non avranno un taglio minimo di entrata alto, da private banking (100 mila euro di solito), ma potranno essere sottoscritti da tutti, con la differenza che il gestore ha la possibilità di investire in aziende anche non quotate, un passo verso il private equity che non tutti i clienti retail se la sentiranno di fare.
Giacomo Tilotta, head of European Equity di AcomeA sgr, nota che «di circa 370 titoli scambiati a Piazza Affari, le small and micro cap, ovvero le società su cui i nuovi Pir possono investire, rappresentano poco meno della metà come numero, quindi Piazza Affari potrà senza dubbio beneficiare di questa liquidità in arrivo, anche sul fronte dei nuovi collocamenti. Poiché storicamente l’analisi finanziaria sulle aziende più piccole scarseggia, tanto più se non sono quotate, questi strumenti metteranno in evidenza le società di gestione con le maggiori conoscenze sul mercato italiano». Un’opinione condivisa da Giovanni Natali, presidente di 4Aim sicaf, secondo cui «uno dei punti forti del decreto Rilancio sono i nuovi Pir, finalmente chiusi in modo da proteggere le pmi quotate da ondate di vendita sui mercati». Poiché i fondi andranno a comprare quote di società private, saranno chiusi per scelta di investimento, non tanto per obbligo di legge. Questo significa che chi investe non potrà riscattare le quote prima di cinque anni. Solo dopo si potrà maturare il beneficio fiscale. Un altro elemento di novità è rappresentato dal raddoppio del tetto del 10% (limite dei Pir tradizionali) di investimento per singola società in portafoglio (nei nuovi Pir è al 20%) in base alla sua capitalizzazione.
Quanto ai tempi, bisognerà attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge, che peraltro recepisce le richieste avanzate da Assogestioni, poi ogni fondo dovrà avere il via libera da Banca d’Italia e da Consob. In base alle stime degli operatori di mercato, a luglio potrebbero già partire i primi prodotti.
Per Luigi De Bellis, co-head Ufficio studi Equita sim, «la proposta dei Pir alternativi è molto interessante, è una misura di carattere strutturale importante, mira a sostenere l`economia reale e far affluire capitali a categorie di aziende il cui accesso al mercato è più difficile, in una fase di forte pressione creata dall`emergenza Covid-19, che colpisce maggiormente le pmi rispetto alle grandi aziende». Inoltre, questo strumento, aggiunge De Bellis, «potrà stimolare la comparsa di nuovi fondi specializzati nelle Pmi italiane e migliorare la liquidità del mercato».

I Pir classici, partiti nel 2017, hanno raccolto 18,725 miliardi alla data di fine 2019, per poi perdere 640 milioni nel primo trimestre del 2020 a causa dei rovesci di mercato. Sui nuovi Pir De Bellis stima una raccolta fra 3 e 6 miliardi all’anno, in base alle fasi di mercato. In una ricerca pubblicata lo scorso anno Equita aveva calcolato che solo gli Eltif, i fondi chiusi che investono in società non quotate e private debt (senza benefici fiscali), potevano raggiungere 7-8 miliardi di masse gestite in 5-7 anni, in linea con quanto raggiunto dai Venture Capital Trust nel Regno Unito (7,7 miliardi di euro a fine 2018) sulle sole persone fisiche.
Per Massimo Mazzini, responsabile marketing e sviluppo commerciale di Eurizon, uno dei maggiori player di mercato sul fronte dei fondi comuni, si tratta di «uno strumento straordinario, un forte incentivo per veicolare il risparmio accelerando l’investimento dei patrimoni privati più consistenti nell’economia reale. In questo modo una gestione qualificata e responsabile da parte delle sgr difende gli interessi dell’investitore e sostiene le imprese, con un doppio beneficio». La società del gruppo Intesa Sanpaolo ritiene che «ci sarà grande attenzione su questo prodotto sul mercato, le sgr italiane stanno già lavorando per essere operativi entro l’estate, magari già per luglio. Bisogna però ricordare che i fondi chiusi sono caratterizzati da tempi più lunghi rispetto agli Ucits per avere il via libera da Bankitalia e Consob», aggiunge Mazzini. Eurizon stima una raccolta complessiva in Italia fra 3,5 e 5 miliardi a livello annuale.

«Stiamo seguendo l’evoluzione dei Pir alternativi con grande interesse. Stiamo già effettuando le valutazioni in relazione al possibile veicolo da proporre», è il commento di Edoardo Fontana Rava, direttore sviluppo prodotti di Banca Mediolanum, fra gli attori principali nel mondo dei piani di risparmio. «Le agevolazioni fiscali favoriranno l’interesse verso questo prodotto, superando le preoccupazioni del breve sul mercato», ha aggiunto il manager.
Intanto Azimut sta lanciando un fondo Eltif di private equity per il mercato retail che investirà in pmi italiane quotate e non, con una strutturata che permetterà di beneficiare dei vantaggi fiscali riservati ai Pir. Banca Generali, invece, sta lanciando il primo Eltif e un Fia, un fondo d’investimento alternativo non riservato. (riproduzione riservata)

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