Malgrado numeri trimestrali positivi, sulle azioni dei wealth manager quotati hanno prevalso le prese di beneficio Ma la raccolta non ha deluso e adesso si riparte con i nuovi piani
di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Nonostante l’aumenta volatilità sui listini nelle ultime settimane, il bilancio per chi ha investito nelle reti di wealth management in Italia da inizio resta da record. Scommettere sui loro titoli alla fine dello scorso anno, dopo la forte correzione della seconda parte del 2018, sarebbe quindi stato un affare. Il mercato ha anticipato una brillante ripresa degli utili del primo trimestre grazie al rally dei mercati nel periodo. Azimut ha messo a segno un +80%, Banca Generali un +35%, Banca Mediolanum un +20%, FinecoBank un +10%.Anima è l’unica che non ha beneficiato del rally e segna una performance negativa dell’6,6%. Se si allunga l’orizzonte temporale e si considera il bilancio dall’inizio del 2018, poi, si scopre che Finecobank e Azimut segnano una performance positiva.

E la stagione dei conti del primo trimestre che si è appena chiusa ha rappresentato un’occasione per verificare numeri e prospettive di queste società. Nel complesso gli utili si sono dimostrati solidi e superiori alle attese. Anzi, in alcuni casi le strategie messe in campo dai wealth manager per prepararsi all’introduzione della Mifid 2 hanno portato a un aumento delle commissioni totali incassate. Tuttavia nei giorni della pubblicazione dei risultati, nonostante le buone notizie dal punto di vista dei conti, sulle azioni (complice anche l’aumentata volatilità dei mercati) hanno prevalso le prese di beneficio. Ciò ha ridimensionato in parte le valutazioni, che erano diventate piuttosto elevate, e ha dato l’occasione per fare il punto sulle prospettive d’ora in poi.
Nel caso di FinecoBank non è stata tanto la trimestrale ad avere un impatto sul titolo quanto notizia che la società è uscita dalla galassia Unicredit , diventando indipendente. Lo status da public company per FinecoBank non sembra preoccupare gli esperti delle investment bank. Secondo gli analisti di Banca Imi, nel medio periodo «questa novità rappresenta uno sviluppo positivo, perché FinecoBank potrà focalizzarsi completamente sulla propria strategia di sviluppo e sulle prospettive di crescita stand-alone». Dal punto di vista dei conti, nei primi tre mesi del 2019 il gruppo ha registrato un utile netto consolidato di 62,6 milioni di euro, il 6,1% in più rispetto allo stesso periodo del 2018. «È stato un trimestre complessivamente buono, perché siamo cresciuti nonostante la presenza di condizioni non favorevoli: una volatilità dei mercati molto bassa che frena l’attività di trading e brokerage, e un approccio della nostra clientela che, pur in presenza del forte recupero dei mercati in questi primi mesi del 2019, è rimasto molto conservativo e orientato verso soluzioni prudenti che, in quanto tali, hanno per noi margini più bassi», ha commentato Alessandro Foti, amministratore delegato e direttore generale di FinecoBank . Dopo i conti gli analisti di Banca Akros hanno ridotto il giudizio sul titolo da neutral a reduce, alzando però il prezzo obiettivo a 10 euro da 9,6 euro per azione. Gli esperti segnalano che i conti sono stati linea alle attese, ma il titolo FinecoBank è ancora caro, trattando a multipli elevati Sempre dai conti del primo trimestre è emerso che sono salite le commissioni di gestione, mentre l’attività di brokerage è stata appunto penalizzata dalla bassa volatilità dei mercati. Proprio l’asset management sembra uno dei punti-chiave su cui continuerà a puntare il gruppo guidato da Foti. «Noi continuiamo a lavorare sfruttando i grandi trend strutturali che stanno cambiando il Paese. Mi riferisco al fatto che tra gli italiani aumenta la consapevolezza che la gestione del risparmio è un argomento molto complesso. Deriva da qui la crescente richiesta di consulenza», ha dichiarato Foti. E la nuova sgr irlandese, operativa dal luglio dello scorso anno, è funzionale proprio ad ampliare la presenza di Fineco nel business dell’asset management «aumentando la nostra efficienza operativa, perché questa fabbrica prodotti ci permette di avere un controllo molto più diretto sull’intera catena del valore, ottenendo profitti migliori con base di costi più bassa», ha osservato Foti. I primi impatti sul bilancio si vedono già: nel primo trimestre di quest’anno le commissioni di gestione sono aumentate di quasi il 14%, perché, «oltre all’effetto volumi, inizia a emergere il progressivo contributo della società irlandese la quale conta su poco meno di 12 miliardi di masse». Fineco Am, questo il nome della società di gestione, è partita con una dote ricca di circa 7 miliardi di euro relativi ai fondi di fondi prima gestiti dalla ex Pioneer (la società di gestione del risparmio che Unicredit nel 2016 ha venduto alla francese Amundi) e in questi nove mesi si è aggiunta nuova raccolta per circa 4,5 miliardi di euro.

Il ruolo crescente della consulenza è un tema chiave per tutti i protagonisti del settore. Una consulenza che sta cambiando anche per effetto della nuova normativa Mifid 2, che porta a una maggiore trasparenza nei rapporti tra società e risparmiatori. La pressione sulle commissioni si sta facendo sentire a livello di tutta l’industria, anche se i big stanno comunque cercando di attutire l’impatto sui loro conti. L’effetto si è visto sia nella rimodulazione delle commissioni prevista da alcuni nomi come Azimut e Banca Mediolanum , sia nella scelta di puntare anche sulla consulenza a pagamento. Dalla trimestrale di Banca Generali è infatti emerso che il 5% degli asset nella prima parte dell’anno è stato gestito con un servizio a parcella (che prevede commissioni nell’ordine dello 0,45-0,5%). Sempre Banca Generali nel primo trimestre ha registrato un utile netto di 66,6 milioni, un +36% rispetto ai 49 milioni di euro del primo trimestre del 2018. «Siamo molto soddisfatti della crescita in questi primi tre mesi dell’anno», ha affermato l’amministratore delegato Gian Maria Mossa, «non solo per la forza dell’espansione commerciale che ci proietta verso un nuovo massimo con segnali molto positivi dalla raccolta, ma anche e soprattutto per la qualità di questi numeri, specchio di una crescente diversificazione delle fonti di ricavo. Stiamo raccogliendo i frutti del grande lavoro fatto nei mesi passati, dove abbiamo impostato un nuovo modello di crescita sostenibile nel lungo periodo non nel breve». Per questo, ha aggiunto Mossa, «crediamo non siano tempi alzare i costi». Dopo i conti Equita ha alzato il target di Banca Generali del 4% a 25,3 euro per azione confermando il giudizio hold sul titolo. E Banca Akros lo ha portato da 25 a 26,5 euro (neutral invariato).
Intanto Azimut è quella che ha registrato una crescita degli utili più elevata tra le cinque quotate italiane dell’asset management. Equita Sim ha spiegato in una nota che il primo trimestre di quest’anno beneficia dell’aumento delle commissioni di gestione, avvenuto a febbraio, e allo stesso tempo non è ancora penalizzato dalla modifica delle commissioni di performance che saranno aggiornate nei prossimi mesi dopo il via libera da parte dell’authority del Lussemburgo. Il gruppo ha chiuso il primo trimestre 2019 con ricavi consolidati pari a 247 milioni (+36%) e un utile netto di 91 milioni di euro (+244%). Azimut prevede di toccare un utile netto di 300 milioni di euro sul 2019 e anche sulla base di questo ha previsto un dividendo di 1,5 euro per azione a valere sui risultati 2018, un ammontare che la porta a essere per il secondo anno consecutivo la società con lo yield più alto del Ftse Mib, il 9%. Il dividendo di 1,5 euro sarà pagato (con stacco il 20 maggio) per l’80% per cassa (e quindi 1,2 euro al lordo delle ritenute fiscali) e per il rimanente in azioni proprie detenute in portafoglio dalla società (il rapporto è di una azione ogni 56 possedute).
Proprio il dividendo è anche il principale elemento che attira l’attenzione di Banca Akros su Banca Mediolanum . All’indomani della trimestrale, chiusa con un utile netto di 72 milioni (+21%), gli analisti hanno confermato il giudizio neutral, mettendo in evidenza che, dopo il brillante outlook fornito dalla società sull’esercizio 2019, il principale fattore di sostegno all’azione è la cedola stimata a un minimo di 0,4 euro, in base alla politica di dividendo del gruppo, «livello che crediamo sia sostenibile» e che al prezzo attuale dà un rendimento del 6% circa.
Nel caso di Anima , i conti del primo trimestre sono stati in linea con le attese degli analisti, mentre la raccolta è stata negativa ad aprile per circa 220 milioni. Sul titolo Anima Banca Akros dopo i conti ha confermato un giudizio buy e un prezzo obiettivo a 4,3 euro. «Crediamo che il rischio di ulteriori ribassi sia limitato e restano le prospettive di m&a già per quest’anno». (riproduzione riservata)

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