di Angelo De Mattia

Il ritorno dell’educazione civica nei programmi scolastici come materia obbligatoria va salutato positivamente trattandosi di un insegnamento fondamentale, a maggior ragione in presenza di un’evoluzione delle norme, delle istituzioni, dei rapporti tra poteri pubblici e società civile. La materia era stata introdotta, con lungimiranza, da Aldo Moro, allora ministro della Pubblica istruzione, nel 1958, poi era stata trasformata in educazione alla cittadinanza e, alla fine, evaporata nell’insegnamento che ora viene formalmente reintrodotto da una legge in corso di approvazione, la quale però prevede solo un’ora di insegnamento settimanale.
Quotidianamente, le cronache segnalano vicende dalle quali emerge l’ignoranza totale di leggi e regole di condotta, nonché, come esito finale, l’inadeguata formazione, in non poche aree della società, del cittadino, la insufficiente consapevolezza dei diritti e dei doveri, con il rischio di un vulnus per l’ordinamento democratico. Cominciare sin dai banchi di scuola a studiare, innanzitutto, la Costituzione e l’ordinamento europeo, mentre vengono elaborati programmi educativi che vedano una feconda partecipazione tra la scuola e la famiglia, è fondamentale per il futuro dell’alunno che dovrà poi affrontare, terminati gli studi, le prospettive e le difficoltà della partecipazione al mercato del lavoro e alla vita sociale e politica.

Ma di un programma del genere non può non fare parte anche l’educazione finanziaria che spesso, su queste colonne, abbiamo chiesto che diventasse, anch’essa, materia di insegnamento sin dalle scuole elementari, ovviamente con la graduazione delle nozioni che sarebbero impartite, ma con effetti non sottovalutabili, come hanno dimostrato alcune specifiche iniziative sviluppate anche nelle «elementari», quali quelle di Beppe Ghisolfi ormai diffusamente noto per l’impegno su questa materia. Nel campo di questa alfabetizzazione si sta assistendo a un certo risveglio che vede allargarsi l’opera, tradizionalmente promossa dalla Banca d’Italia, anche al mondo bancario, a cominciare dall’Abi, alle Authority, in particolare alla Consob, ai ministeri. Vi è, poi, il Comitato per l’educazione finanziaria costituito presso il Mef, presieduto da Annamaria Lusardi, che sta svolgendo un’azione importante di sensibilizzazione e di coordinamento nella materia.
Ma cogliere l’occasione della rivalutazione dell’educazione civica per avviare, a latere, l’insegnamento anche di nozioni e concetti bancari e finanziari sarebbe assai importante; in ogni caso, nel programma annuale, una sezione andrebbe dedicata a quest’ultimo insegnamento. Per quanto di non positivo accade nei rapporti con le banche, pur senza generalizzare affatto, e senza volere ricondurre i casi e, soprattutto, gli effetti di mala gestio o di misselling all’inadeguata conoscenza della materia da parte della clientela degli istituti, tuttavia in maniera crescente si pone il tema della maggiore consapevolezza di chi opera e dell’uso altrettanto consapevole, in generale, del denaro e del risparmio.
Il cliente, spesso, è contraente debole nelle relazioni con la banca. Operano per il riequilibrio le norme e i controlli delle Autorità; nessuno può ritenere che in questo campo valga il caveat emptor, cioè che sia il cliente a doversi proteggersi da sé. Tuttavia, un adeguato bagaglio di conoscenze, muovendo da quelle elementari, appare una fondamentale integrazione di quel che spetta ad altri per tutelare la posizione del cliente, risparmiatore o prenditore di credito. Di qui l’importanza, non solo per l’età scolare, ma anche per gli adulti, di un serio programma di educazione finanziaria, che rimuova l’Italia dalla bassa classifica, a livello internazionale, nella quale si trova oggi in questo campo. Una posizione non più sostenibile, anche per il ruolo e la storia del nostro Paese. (riproduzione riservata)

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