La ricchezza delle famiglie italiane ammonta a 9.743 miliardi, 8 volte il reddito Asset manager nazionali e stranieri si sfidano per amministrarlo, consolidando il mercato Da Kairos ad Arca, da Azimut a Fineco, ecco i progetti m&a e i protagonisti dell’industria
di Francesco Bertolino

Il petrolio sta all’Arabia Saudita come il risparmio sta all’Italia. Il patrimonio privato è un asset strategico, specialmente per un Paese con oltre 2.300 miliardi di debito pubblico e un’assillante necessità di finanziarsi sul mercato. La ricchezza netta delle famiglie italiane vale otto volte il loro reddito, 9.743 miliardi di cui un po’ meno della metà rappresentato da attività finanziarie (il resto sono immobili). Un patrimonio enorme che fa gola ad asset manager italiani e stranieri che non è detto condividano le medesime logiche di investimento, soprattutto quando si tratta di rischio Paese. Quella per il risparmio italiano si atteggia così a battaglia di trincea, in cui si sfidano i maggiori protagonisti dell’industria dell’asset management.

Generali, già primo player in Italia (468 miliardi di masse, stando ai dati Assogestioni riferiti al quarto trimestre 2018), ha posto l’ulteriore crescita nel risparmio gestito al centro del piano triennale al 2021. E anche Mediobanca , dopo aver acquisito l’anno scorso la svizzera Ram, punta a raddoppiare in 3-5 anni il totale delle attività finanziarie a 100 miliardi, perlopiù tramite acquisizioni. Ma sul mercato italiano si muovono anche grandi player internazionali che già gestiscono circa un terzo del patrimonio investito (si veda tabella in pagina) ma sembrano intenzionati ad accrescere ancora le loro quote per linee esterne.
«Il business dell’asset management, soprattuto per investitori istituzionali, ha vocazione globale», spiega Giulio Dell’Amico, partner di Kpmg. «I crescenti costi di regolamentazione, la contrazione delle commissioni di gestione indotta da Mifid 2, gli investimenti per la trasformazione digitale, la competizione sui costi e sulle competenze obbligano ad avere scala e quindi spingono al consolidamento». Del resto, a giudizio di molti esperti di settore, 3mila miliardi di dollari è ormai la quantità minima di asset in gestione per misurarsi a livello globale e mantenere margini interessanti nel lungo periodo. Nessuno dei grandi gestori europei riesce ad avvicinare la soglia: la francese Amundi (gruppo Crédit Agricole), primo attore continentale, si ferma a 1.400 miliardi di asset under management. Non sorprende perciò che tutti o quasi i campioni europei del risparmio gestito siano pronti a farsi avanti qualora Deutsche Bank decidesse di cedere una quota della divisione di asset management Dws. Da Allianz Global Investor (505 miliardi di masse) a Natixis (802), da Generali alla stessa Amundi fino alla svizzera Ubs (700), considerata dai più candidata ideale alla fusione con Dws.
Seppur su scala ridotta, il moto al consolidamento pare inesorabile anche in Italia. Tamontata per ora l’ipotesi di un’allenza fra BlackRock ed Eurizon (gruppo Intesa Sanpaolo , secondo asset manager con 380 miliardi di masse) e dopo la cessione di Pioneer ad Amundi da parte di Unicredit , sul tavolo restano ancora diversi dossier. L’ultima società a diventare contendibile è stata Fineco . In settimana Unicredit ha venduto per un miliardo il 17% dell’istituto guidato da Alessandro Foti, scendendo al 18% del capitale. Jean Pierre Mustier non ha escluso un’ulteriore cessione di quote se si dovessero presentare opportunità interessanti. Ed è probabile che, superata la sorpresa per l’inattesa decisione di Unicredit , proposte non tarderanno ad arrivare dall’Italia come dall’estero. Nella compagine azionaria della banca figurano diversi asset manager internazionali (fra gli altri BlackRock, Invesco, Axa, Amundi, State Street) che potrebbero approfittare o aver già approfittato dell’occasione per incrementare la propria partecipazione. Come spiegato dall’amministratore delegato Alessandro Foti, infatti, Fineco ha saputo intercettare per tempo e con successo due tendenze: l’attenzione alla gestione del risparmio (gli asset finanziari amministrati dalla banca multi-canale ammontano a 63,6 miliardi) e la digitalizzazione.

Se l’approdo sul mercato di Fineco è fresco, l’affare più caldo pare al momento quello di Kairos. La boutique milanese (12 miliardi di masse in gestione) fondata da Paolo Basilico è stata messa in vendita dagli svizzeri di Julius Baer che, secondo indiscrezioni, dalla vendita vorrebbe ricavare 350-450 milioni. All’advisor Goldman Sachs sono arrivate offerte: al momento Mediobanca e il fondo americano Ta Associates sembrano in vantaggio, ma in ambienti finanziari non si esclude un possibile ritorno in partita di Credit Suisse. Nel confermare l’interesse per Kairos il numero uno di Mediobanca , Alberto Nagel, ha precisato che l’operazione avrebbe senso solo «nella prospettiva di un accordo con il team di management basato su un progetto industriale forte». Oltre che il prezzo, infatti, il principale ostacolo all’affare parrebbe il raggiungimento di un’intesa con i successori di Basilico, che ad aprile ha lasciato la guida di Kairos a Fabio Bariletti.
Anch’essa più volte accostata a Mediobanca , Azimut Holding (39 miliardi in gestione) si è invece chiamata fuori dal risiko. Il presidente Pietro Giuliani ha negato ripetutamente qualsiasi ipotesi di aggregazione, ma gli analisti continuano a insistere sull’m&a. Nel frattempo, grazie alla revisione del sistema commissionale, da inizio anno la società ha guadagnato l’87% a Piazza Affari, raggiungendo una capitalizzazione di 2,5 miliardi. In ogni caso, perciò, eventuali pretentendi dovranno disporre di un portafoglio abbastanza profondo.
Pienamente della partita è invece Anima Holding (quarto gestore italiano con 173 miliardi di masse). L’ad Marco Carreri si è detto desideroso di partecipare al consolidamento in atto e ha aperto tanto all’aggregazione con Mediobanca («non sarebbe una follia») quanto a quella con Arca (un bel progetto). La lista di pretendenti per Anima è però lunga. Ad aprile Banco Bpm , già primo azionista con il 14,7%, ha manifestato l’intenzione di incrementare la partecipazione. Secondo socio di Anima resta poi Poste Italiane con il 10,3%. Nel 2016 l’allora ad di Poste, Francesco Caio, aveva tentato con l’aiuto Cdp di creare un polo italiano del risparmio gestito, riunendo in’unica società Anima e Pioneer. Persa la battaglia con Amundi per l’asset management di Unicredit , il progetto sembra essere stato accantonato dall’attuale numero uno di Poste, Matteo Del Fante. La collaborazione fra le due società resta però stretta, come dimostrano gli accordi per il rafforzamento della partnership nel risparmio gestito siglati a marzo dell’anno scorso.
Infine, secondo indiscrezioni, potrebbe arrivare sul mercato anche una quota di Arca Sgr (31 miliardi di aum). Dopo esser salite rispettivamente al 57 e al 39% della società, Bper e Popolare di Sondrio starebbero pensando di aggregare Arca a un altro asset manager (magari proprio Anima ) o di trovare altri co-investitori, magari tramite una quotazione.
Sul mercato insomma non mancano le prede, più o meno prelibate. Ma neanche i predatori, italiani e stranieri. (riproduzione riservata)
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