Le indicazioni della Cassazione sulla responsabilità datoriale in un caso di incendio
Il Dvr deve essere adeguato e soggetto ad aggiornamenti
Pagina a cura di Daniele Bonaddio

Documento di valutazione dei rischi sempre adeguato: è infatti compito del datore di lavoro redigere e sottoporre ad aggiornamenti periodici il Dvr indicando tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda.
In particolare, ai sensi dell’art. 28 del dlgs. 81/2008 (T.U. Sicurezza), occorre individuare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Lo strumento della adeguata valutazione dei rischi è dunque un documento che il datore di lavoro deve elaborare con il massimo grado di specificità, restandone egli garante: l’essenzialità di tale documento deriva con evidenza dal fatto che, senza la piena consapevolezza di tutti i rischi per la sicurezza, non è possibile una adeguata politica antinfortunistica. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18323 del 3 maggio 2019.

La vicenda. Il caso affrontato dalla Suprema Corte riguarda l’accusa subìta da un datore di lavoro, ritenuto reo di aver violato le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai sensi dell’art. 590, comma 3, codice penale.
Nel caso di specie, il datore di lavoro, non avendo effettuato una valutazione del rischio connesso allo svolgimento di attività lavorative con impegno di prodotti infiammabili, causava al proprio dipendente lesioni consistite in ustioni in varie parti del corpo con prognosi superiore a 40 giorni.
L’operaio, intento a effettuare un taglio con impegno di fiamma ossidrica, omettendo di accertarsi che nelle vicinanze non vi fosse materiale a rischio di accensione, determinava l’innesco di fiamme che si propagavano da un fusto in cui vi erano residui di un diluente altamente infiammabile che si trovava a circa 3 metri di distanza. Il lavoratore, ritenendo il datore di lavoro responsabile dell’incendio occorso, agiva per via legali.

Corte d’appello. I giudici della Corte d’appello di Firenze, nel confermare la pronuncia del Tribunale di Livorno, condannavano il datore di lavoro alla pena di 30 giorni di reclusione, giudicandolo colpevole per non aver adeguatamente evidenziato tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda.

I motivi. Il datore di lavoro ricorreva per Cassazione per due motivi. Innanzitutto riteneva la condotta del dipendente abnorme, poiché lo stesso aveva preso un bidone dalla stanza dedicata alle sostanze infiammabili utilizzandolo come sgabello durante le operazioni di saldatura.
A detta dell’accusato, all’interno dello stabilimento aziendale esisteva un’apposita stanza per effettuare le operazioni di diluizione e travaso delle sostanze chimiche infiammabili, prevedendo il loro stoccaggio esclusivamente in tale luogo. Il datore di lavoro non comprendeva quindi come l’omissione della valutazione del rischio esplosione avrebbe potuto in qualche modo incidere sul comportamento tenuto dal dipendente.
Inoltre, l’imputato lamentava il fatto di non essere obbligato alla redazione del documento di valutazione dei rischi, in quanto il decreto che statuiva tale obbligo (art. 29, comma 5 del dlgs 81/2008) era entrato in vigore in data successiva all’evento di infortunio.
Si ricorda, a tal proposito, che le imprese fino a 10 dipendenti potevano autocertificare la valutazione dei rischi fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di cui all’art. 6, comma 8, lett. f) del dlgs 81/2008.
Essendo il predetto decreto interministeriale entrato in vigore il 6 febbraio 2013, e l’infortunio occorso solo 5 giorni prima, era lampante, per il ricorrente, che, all’epoca dei fatti, non vi fosse alcun obbligo di valutare i rischi presenti in azienda.
Peraltro, sottolineava il datore di lavoro, il documento che la Corte analizzava non era un Dvr ex art. 29 dlgs. 81/2008 ma una valutazione sul rischio chimico, in conformità ad altra normativa (dlgs 626/1994), che prevedeva l’obbligo di valutare il rischio chimico non come rischio di infortunio bensì come analisi di agenti patogeni chimici per possibili malattie professionali.

La sentenza. I giudici della Suprema Corte, analizzati i motivi del ricorso, confermano la pronuncia della Corte d’appello, ritenendo il ricorso infondato.
Al riguardo, gli Ermellini evidenziavano che il datore di lavoro avesse completamente omesso nell’autocertificazione la valutazione del rischio di esplosione, nonostante costituisse fatto notorio che i bidoni, già contenenti diluenti per vernici, si trovassero sul piazzale di lavoro e non confinati nell’apposito locale predisposto ad hoc dal datore di lavoro. In particolare, il datore di lavoro aveva sbagliato nel valutare i prodotti chimici utilizzati, tra cui il diluente Nitro, quale fattore di rischio per le malattie professionali e non come possibile causa di innesco di incendio a seguito dell’esposizione a fonti di calore ovvero ai residui prodotti da interventi effettuati con cannello a fiamma ossiacetilenica.
Pertanto, il Dvr utilizzato non era adeguato perché non valutava affatto l’anzidetto rischio, manifestando di conseguenza una evidente carenza sotto il profilo delle misure preventive da adottare.
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