L’uscita dal gruppo Unicredit di Fineco, dopo la cessione del 17 per cento del capitale che ha portato 1.014 milioni di euro cash in Piazza Gae Aulenti, apre a una serie di prospettive del tutto inattese solo poche settimane fa.
Fineco, quarta banca italiana per capitalizzazione di Borsa, è diventata perfettamente scalabile. Il suo capitale per l’82 per cento è collocato sul mercato tra una pluralità di investitori e tra settembre e dicembre di quest’anno, alla scadenza del lock up e prima dell’avvio del nuovo piano industriale, Unicredit probabilmente collocherà sul mercato anche il restante 18 per cento di Fineco che ha ancora in portafoglio, portando quindi la totalità delle azioni della banca nata nel 1999 disponibile sul mercato di Piazza Affari.

Questa prospettiva di ampia autonomia, rivendicata con i fatti nelle ultime stagioni ma oggi divenuta anche formale, apre ad alcune considerazioni. Il modello di business di Fineco (508 milioni di raccolta netta nel solo aprile 2019 e 11,7 miliardi di asset under management), funziona e fa gola a molti, soprattutto in un momento in cui le banche tradizionali stanno dimostrando difficoltà nell’ampliare la gamma e la profondità dei ricavi, mentre i costi risultano spesso difficilmente scalfibili.
Interesse
Taluni concorrenti cercano di imitare il modello, altri potrebbero pensare a una acquisizione. Il risiko sulla carta è uno degli sport nazionali dilettantistici, tanto che si sono subito compilate le liste dei candidati. Mediobanca, terza banca quotata del Paese e presente nel settore delle banche commerciali con CheBanca!, ha già dichiarato per voce del suo amministratore delegato Alberto Nagel di non essere interessata. Unicredit, seconda banca per capitalizzazione del Paese, ha parlato con i fatti e viene difficile pensare che Intesa Sanpaolo, prima per capitalizzazione, sia interessata all’acquisizione. Tutte le altre sono troppo piccole: meno della metà di Fineco. Così, al momento, se non arriveranno interessi dall’estero, il nuovo padrone di Fineco si chiama mercato, un’astrazione che non piace a tutti, ma che è dotata di regole precise e severe che vengono puntualmente rispettate.
L’uscita dal gruppo Unicredit, per volontà del ceo Jean Pierre Mustier, apre per Fineco due altre partite. Se la parte operativa, quella più vicina alla clientela, è stata cristallizzata e nulla cambierà nell’utilizzo dei bancomat e dell’Iban, ci sono due partite delicatissime che sono state ugualmente definite, con ricadute sullo stato patrimoniale e sulla governance. La prima riguarda gli 8,3 miliardi di euro in obbligazioni Unicredit che diventano 11 miliardi considerando la liquidità presente nei conti. «Le banche – spiega l’amministratore delegato di Fineco, Alessandro Foti – devono rispettare dei vincoli sulle grandi esposizioni, perché queste aumentano il rischio. Nel nostro caso, un rischio che prima era infragruppo ora diviene solo di Fineco. Ma Unicredit ha rilasciato una garanzia collaterale su quelle obbligazioni che funziona come un covered bond e che quasi azzera il rischio. In questo modo, il capitale di Fineco esce dall’operazione maggiormente sicuro. E anche gli Rwa, le attività ponderate per il rischio, con queste garanzie diventano meno rischiosi all’interno del nostro capitale».
Sul fronte della governance, il consiglio di amministrazione vigente è espressione delle liste presentate nel 2017 (data di nomina dei consiglieri da parte dell’assemblea) sia da Unicredit in qualità di socio di maggioranza – che ha candidato 7 amministratori di cui 5 indipendenti e 2 non indipendenti – che dalle minoranze rappresentate da una pluralità di sgr e investitori istituzionali – che hanno candidato 2 amministratori indipendenti. Unicredit si è impegnata a rinunciare a qualsiasi diritto amministrativo a nominare o revocare il consiglio di amministrazione di Fineco. «Il nostro consiglio di amministrazione – dice Foti – manterrebbe tutte le prerogative per rimanere in carica sino alla scadenza naturale del mandato, fra meno di un anno. Nell’aprile 2020, con l’approvazione del bilancio 2019, il consiglio verrà rinnovato».
Prospettive
Restano le prospettive, non tanto di governance o legate alla prossima trimestrale, quanto della stessa Fineco in un orizzonte temporale a tre anni. «Il nostro è un business straordinario – sottolinea Foti – e i trend della nostra crescita accelerano in maniera significativa. La consulenza, che è cosa diversa dalla vendita di prodotti, è sempre più percepita come una necessità da parte di una fetta sempre più vasta di risparmiatori. Mentre la tecnologia, che per noi significa una multicanalità realmente integrata, è irrinunciabile e si sviluppa parallelamente alla digitalizzazione del Paese. Per cui credo che Fineco sia sul sentiero giusto e che lo sarà anche tra tre anni».
Dalla separazione, inattesa la tempistica tanto ravvicinata, non l’idea, Unicredit trae risorse importanti per il proprio capitale. Una iniezione di forza in vista di tempi cupi? Potrebbe essere. Mustier ha ripetutamente negato il disimpegno del gruppo dall’Italia, ma c’è chi sottolinea l’interesse, non solo negli slogan, ad essere una vera banca pan-europea.
Dopo aver acquisito Hvb in Germania ai tempi di Profumo ed essere stata vicina alla francese Société Générale un anno fa, oggi potrebbe realizzarsi un nuovo avvicinamento con Parigi, mentre a Francoforte è sempre in vendita Commerzbank, che ha lo stato tedesco tra gli azionisti, ma non è detto che questo sia necessariamente un freno. Certo, una nuova acquisizione in Germania da parte di una banca italiana, per di più guidata da un francese, andrebbe fatta digerire sia a Francoforte che a Berlino. Ma il business è business e la composizione dei nuovi equilibri europei che si andranno a formare dal 26 maggio potrebbe rappresentare una occasione da sfruttare.

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