La legge appena approvata rende più difficile alle imprese difendersi dalle accuse dei consumatori
Pagine a cura di Federico Unnia

Una riforma che fa molto discutere quella sulle class action. C’è tempo fino al 19 aprile del 2020 perché la nuova (legge n. 31/19 del 12 aprile 2019, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 92 del 18 aprile 2019), entri in vigore, eppure i problemi operativi vengono messi in evidenza già sin d’ora da parte degli avvocati. Preoccupati perché la legge aggrava la posizione delle aziende, esponendole a operazioni strumentali il cui costo potrebbe rivelarsi molto elevato. «Assistiamo a un cambiamento: la riforma sposta la disciplina dell’azione di classe dal codice del consumo al codice di procedura civile e prevede uno strumento di tutela a disposizione di chiunque (impresa o consumatore) vanti un diritto al risarcimento di danni contrattuali o extracontrattuali relativi alla lesione di diritti individuali omogenei», spiega Silvia D’Alberti, responsabile del dipartimento Antitrust dello studio Gattai, Minoli, Agostinelli & Partners. «La novità più importante è la facoltà di aderire all’azione anche successivamente alla sentenza che definisce il giudizio. Le imprese eventualmente giudicate responsabili devono pagare un compenso non solo al rappresentante comune degli aderenti alla azione di classe ma anche al loro difensore. Ne emerge uno strumento di tutela più incisivo rispetto alla precedente legge del 2010». «Le imprese», aggiunge D’Alberti, «temono i contenziosi massivi che comportano costi elevati sia in termini economici che legali che in termini di distrazione del personale. La nuova normativa prevede anche la condanna a corrispondere compensi premiali, nella misura indicata dalla legge e calcolati sul numero di aderenti e su basi percentuali, direttamente al rappresentante comune degli aderenti e agli avvocati che hanno assistito i ricorrenti fino alla pronuncia della sentenza di accoglimento. Ciò comporta per le imprese convenute la corresponsione di una somma aggiuntiva che va oltre la funzione compensativa del risarcimento».

Secondo Francesca Gesualdi di Cleary Gottlieb «si tratta di una riforma piuttosto ambiziosa. Sono previsti significativi correttivi ai limiti della disciplina attuale, che si è rivelata sostanzialmente un flop. Anche se occorreranno tempo e le prime decisioni giurisprudenziali per valutarne l’impatto e l’efficacia, le nuove norme si pongono in linea con un trend normativo indirizzato verso un sistema processuale sempre più uniforme e al contempo invasivo rispetto all’attività delle imprese. Le imprese coinvolte in class action hanno sinora assistito a un utilizzo che spesso si è rivelato poco genuino di questo strumento processuale, spesso coltivato quale mera forma di facile guadagno. I meccanismi premiali previsti dalla nuova normativa per gli avvocati e i rappresentanti della classe (come il patto di quota lite) potrebbero incrementare i casi di abuso, tanto più in assenza di sanzioni. È possibile ipotizzare che le compagnie assicurative offrano tutele particolari (termini di polizza specifici) per il caso in cui una condotta coperta dia luogo a una class action anziché a un’azione ordinaria, anche se credo difficile – se non impossibile – ipotizzare una copertura assicurativa per un mero «danno da class action».

Secondo l’ex presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà, name partner di Lipani Catricalà & Partners, «sarà la giurisprudenza a dirci se il legislatore sia riuscito a contemperare i diritti dei soggetti danneggiati con quello delle imprese di operare in un sistema di regole certe, non contaminato da comportamenti opportunistici. Mi limito a osservare che la disciplina italiana si sgancia dal quadro normativo europeo che, con la direttiva approvata dal Parlamento in prima lettura il 26 marzo scorso, àncora saldamente l’azione di classe al diritto dei consumatori». «Preoccupa le imprese da un lato l’ampliamento del perimetro all’interno del quale potrà essere esperita l’azione di classe e l’assoluta imprevedibilità dei costi legati al contenzioso. Alcuni sollevano il punto delle coperture assicurative per i danni da class action. Il tema è oggettivo: la riforma aumenta il rischio per le imprese di essere chiamati a pagare risarcimenti cospicui, non quantificabili ex ante. Credo che il sistema assicurativo si dovrà attrezzare per fornire prodotti adeguati».
Guarda agli effetti per le imprese Alessandro De Nicola senior partner di Orrick secondo il quale «la class action è uno strumento potente, che fornisce risultati benefici per il sistema solo se utilizzato con equilibrio. In questa prospettiva la nuova disciplina genera effetti punitivi per le imprese coinvolte e nel complesso distorsioni del mercato. Penso alla previsione di un sistema probatorio sbilanciato a favore dei ricorrenti e a una disciplina dei compensi che si traduce in un incentivo alla litigiosità. La norma attribuisce al giudice – per l’accertamento della responsabilità – il potere di avvalersi di dati statistici e di presunzioni semplici, indicando così un approccio più sostanzialista. Segnalo le costose distorsioni in tema di compensi: compenso di quota lite del rappresentante comune degli aderenti (pubblico ufficiale nominato dal giudice), compenso premiale a favore del difensore del ricorrente secondo le medesime percentuali, e dulcis in fundo a – stando alla lettera della norma – stesso compenso premiale a favore di ciascuno dei difensori dei vari cluster di azioni di classe poi riuniti all’azione principale».

«Il giudizio sulla riforma è, nel complesso, positivo anche se permangono alcune criticità e lacune di fondo», spiega Daniele Geronzi, partner di Legance Avvocati Associati. «L’adozione del rito sommario di cognizione senza possibilità di conversione in rito ordinario, benché metodologicamente condivisibile, potrebbe comprimere lo spazio di difesa delle imprese resistenti. Senza dubbio gli accantonamenti in bilancio per i fondi rischi si renderanno necessari. È plausibile che, almeno nel periodo iniziale, le iniziative collettive saranno particolarmente numerose. Preoccupa l’ampliamento oggettivo della nuova class action ad alcune ipotesi di responsabilità extracontrattuale molto delicate: danno alla salute e danno ambientale, specialmente a fronte del nuovo meccanismo delle adesioni, agevolato rispetto a quello attualmente vigente, potrebbe far lievitare in maniera significativa i potenziali risarcimenti».
«La nuova disciplina è molto più ampia rispetto alla precedente. Questa non è completamente in linea con le indicazioni europee ed è uno strumento sbilanciato a favore della parte ricorrente», spiega Margherita Grassi Catapano, co-fondatore con Francesca Sutti di WLEX. «Per le imprese sarà più complesso difendersi in quanto l’azione può essere utilizzata per far valere sia responsabilità contrattuale che extracontrattuale, rendendo più difficile individuare a priori la casistica che potrebbe determinare l’insorgenza di eventuale contenzioso. Inoltre il regime probatorio agevolato determina certamente una enorme facilitazione per il ricorrente. Probabilmente preoccuperà le imprese la predisposizione di tutta l’attività di compliance relativa alla problematica in questione, oltre alla valutazione della fattispecie in ambito aziendale, con la conseguente predisposizione del corretto trattamento contabile da seguire».
«La nuova legge sull’azione di classe è chiaramente ispirata a favorire un più ampio ricorso a uno strumento che non ha avuto particolare fortuna dalla sua entrata in vigore all’inizio del 2010. Il risultato d’insieme appare eccessivamente sbilanciato a sfavore delle imprese e potrebbe prestarsi ad abusi per la potenziale ampiezza dei soggetti legittimati e dei diritti tutelabili», attaccano Valeria Mazzoletti e Paolo Pototschnig, responsabili del dipartimento di Contenzioso/Adi di Giovanardi-Pototschnig & Associati, «il sistema di pubblicità delle azioni e dei provvedimenti assunti nei giudizi può generare allarme sul piano reputazionale, specie di fronte a possibili abusi e in quei settori industriali o commerciali maggiormente sensibili a questo aspetto. Preoccupa la difficoltà di prevedere gli impatti economici negativi in caso di condanna in un’azione di classe, perché il nuovo meccanismo di adesione renderà più aleatorie le stime dei rischi in proposito, con possibili riflessi anzitutto sul piano delle valutazioni in sede di redazione dei bilanci. L’affidamento alle Sezioni specializzate costituisce uno dei pochi bilanciamenti degli squilibri che la nuova disciplina introduce tra le parti coinvolte».
Per Stefano Grassani, responsabile della practice Antitrust di Gatti Pavesi Bianchi, «la riforma ha sicuramente un grande merito, quello di aver cercato di disegnare uno strumento processuale che si applicasse trasversalmente e che non fosse pertanto confinato solo ad una classe privilegiata di soggetti e ad una categoria di diritti più protetti processualmente di altri. Era inevitabile che così fosse. Quando si introducono nuovi istituti che rivoluzionano principi consolidati del diritto, diviene difficile per il sistema giuridico di un Paese consentire corsie preferenziali solo per alcune fattispecie. Se si afferma che le azioni a risarcimento delle violazioni del diritto antitrust, per fare un esempio, meritano una tutela accresciuta, è problematico formulare scale di valori tali per cui uguale protezione non possa e debba essere riconosciuta a lesioni altrettanto gravi delle sfere giuridiche degli individui, siano essi persone fisiche o giuridiche. Il rischio è che l’istituto sia strumentalizzato al fine di spingere le imprese a chiudere transattivamente ipotesi di azioni di classe per evitare i tempi e costi di un processo comunque complesso per il solo fatto di avere ad oggetto una pletora potenzialmente indeterminata di attori. Quello della litigation buyout insurance è uno strumento da diversi anni utilizzato negli Usa e che ha trovato poco spazio in Europa. È un tipo di polizza che trova naturale applicazione nella copertura dei rischi connessi ai grandi contenziosi: proprietà intellettuale, cause relative a danni da prodotto, azioni di danno antitrust e, appunto, azioni di classe» conclude.
Per Massimo Tavella, fondatore di Tavella Studio di Avvocati, «è degna di nota la possibilità di radicare nei confronti di tali soggetti un’azione inibitoria collettiva, volta ad ottenere l’ordine di cessazione o il divieto di reiterazione della condotta omissiva o commissiva ritenuta lesiva (art. 840-sexiesdecies). Dal punto di vista delle imprese la situazione si complicherà, soprattutto per la difficoltà di stimare – all’inizio dell’azione – il rischio di causa, i relativi costi e il numero dei potenziali aventi diritto al risarcimento. Per le imprese il possibile proliferare di contenziosi e la difficoltà di prevedere ex ante i rischi connessi. Non sono inoltre da sottovalutare i possibili risvolti, in termini di immagine, di iniziative di questo genere. Il coinvolgimento dell’azienda nell’ambito azioni collettive, infatti, è di per sé foriero di possibili pregiudizi e condizionamenti, a prescindere dall’esito della controversia. In altre parole, il processo mediatico può talvolta essere più oneroso per le aziende rispetto al provvedimento giudiziario».
Per Cristina Biglia, partner di Mercanti e Associati Studio legale e tributario, «il nuovo sistema delinea un meccanismo probatorio che punisce comportamenti processuali non corretti delle imprese convenute. Si tratta di un aggravamento nei confronti delle imprese non oneste, e quindi non meritevoli di stare sul mercato. Le imprese sono spaventate dalla possibilità di essere aggredite da iniziative strumentali di singoli e di associazioni che potrebbero avere esiti sfavorevoli sotto il profilo economico e di immagine, prevedendo la nuova azione collettiva un compenso aggiuntivo in favore del rappresentante comune degli aderenti e dell’avvocato del ricorrente, avvicinandosi così alla figura del danno punitivo. A ciò si aggiunge l’imprevedibilità dell’impatto economico derivante dall’adesione successiva alla sentenza, che rischierebbe di rendere più difficile anche una soluzione transattiva della vertenza».

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