Con i nuovi strumenti informatici operatori connessi h24

Burnout e workaholism da non sottovalutare

Con l’ingresso dei nuovi strumenti informatici nel mondo del lavoro, che ormai tengono connesso l’operatore h24, si è passati dallo stress in senso classico al «tecnostress», con una notevole difficoltà a conciliare vita privata e vita professionale.
«Soprattutto tra le nuove generazioni di lavoratori, il rapporto è percepito in modo sempre più indistinto – dice Angelo Sacco, medico chirurgo, specialista in medicina del lavoro e medico autorizzato alla radioprotezione dei lavoratori, dal 1999 dirigente medico del lavoro nel Servizio Sanitario Nazionale nonché docente di medicina del lavoro alle Università Tor Vergata e Cattolica di Roma – Da un’indagine sui giovani lavoratori statunitensi (Eurofound and the International Labour Office, 2017) viene fuori la consolidata abitudine a impiegare una parte significativa delle ore di lavoro all’uso, per motivi personali, dei nuovi strumenti informatici e viceversa. Durante l’orario di lavoro il 60% degli intervistati legge/invia mail personali, il 57% invia messaggi di testo, il 53% usa il telefonino, il 50% i social. A casa, il 51% degli intervistati legge/invia mail di lavoro, il 45% invia messaggi di testo, il 46% usare il telefonino, il 34% esegue ricerche».
Ma non è tutto. «Studi svolti in Corea del Sud hanno mostrato come la sindrome da dipendenza da internet rappresenti, in quel Paese, uno dei più grandi problemi di salute pubblica che può evolvere anche verso forme depressive», aggiunge. «Altre ricerche mostrano che i lavoratori, oltre ai problemi muscolo-scheletrici e oculo-visivi del comune videoterminalista possono andare incontro anche ai problemi di dipendenza dalla tecnologia e correlati con l’isolamento sociale e a disturbi del ritmo sonno-veglia».
Il prevalente utilizzo di piccoli strumenti informatici portatili, e, soprattutto, il loro impiego in ogni circostanza sono le principali criticità dello smart working introdotto dalla legge 81 del 2017. «Vista la velocità con cui avanza la tecnologia, almeno in Italia non sono ancora disponibili dati scientifici sullo smart working e sui nuovi lavori legati alla cosiddetta Gig economy. Questi ultimi coinvolgono il lavoratore h24 e rischiano di diventare la sua unica ragione di vita potendo creare sintomi da dipendenza. L’impiegato tradizionale, invece, una volta e terminate le sue ore in ufficio, diceva stop».
Cosa può accadere in questi casi? «Che il lavoratore sta male se per qualche ragione non svolge la prestazione. Per evitare fenomeni di dipendenza dal lavoro, il datore dovrà rendere effettivo il diritto del lavoratore alla disconnessione, così come previsto dall’art. 19 della legge 81 – spiega il prof. Camillo Loriedo, direttore Istituto Italiano di Psicoterapia Relazionale e docente di psichiatria e psicologia clinica a La Sapienza di Roma – Bisogna illustrare due concetti che gli italiani ancora poco conoscono come il burnout, che richiede l’interruzione dell’attività lavorativa e il workaholism (dipendenza dal lavoro) per i quali, è opportuno ricorrere a una vera e propria psicoterapia, preferibilmente pratica e di effetto rapido, come terapiarelazionale-sistemica,cognitivo-comportamentale, strategica o ipnoterapia». Quali sono i rischi? «Il rischio più elevato è il divorzio, poi le conseguenze sui figli che rendono particolarmente utile una terapia della coppia o della famiglia». Statistiche al riguardo? «Il 6% dei divorzi annuali in Inghilterra è da attribuire a persone affette da workaholism. Il 25% dei mariti che ha sposato donne workaholic può diventare alcolista e ammalarsi di patologie. I figli delle donne workaholic rischiano di diventare come le madri o al contrario, per una sorta di crisi di rigetto possono staccarsi dalla famiglia e fare esattamente l’opposto, non lavorare. La percentuale, in questi ragazzi, sfiora il 50% dei casi», conclude il prof. Loriedo.m.t.a.
—© Riproduzione riservata—

Fonte: