Un’analisi dei prodotti assicurativi a contenuto finanziario dopo l’ordinanza n. 10333/18

La qualificazione è dirimente ai fini civilistici e fiscali
Pagina a cura di Stefano Loconte
La recente ordinanza 10333/2018 emessa dalla Cassazione in relazione a un caso concernente contratti di assicurazione sulla vita a contenuto finanziario impone di svolgere delle seppur brevi considerazioni sugli elementi fondamentali che assumono rilievo ai fini della qualificazione giuridica delle polizze unit linked. La qualificazione è dirimente ai fini dell’individuazione della normativa applicabile agli intermediari finanziari proponenti tali polizze (con particolare riferimento alla disciplina del Tuf in materia di obblighi informativi), nonché ai fini della determinazione degli effetti civilistici della conclusione dei contratti dal punto di vista della responsabilità patrimoniale ed infine del trattamento fiscale.
Secondo la classificazione operata dal Codice della assicurazioni private (dlgs 209/2005), le polizze unit linked rientrano fra le assicurazioni sulla durata della vita umana le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di Oicr o di fondi interni.
Ciò si traduce, in estrema sintesi, nel meccanismo contrattuale per cui all’atto di pagamento del premio sono assegnate all’assicurato un certo numero di quote (unit), il cui valore può chiaramente variare nel tempo, e in base al quale al verificarsi del rischio dedotto nella polizza la prestazione a carico dell’assicuratore sarà liquidata ugualmente tramite il pagamento di quote in diversa quantità e valore rispetto a quelle assegnate al pagamento del premio. La variabilità del valore del capitale liquidabile dall’assicuratore, quale conseguenza dell’oscillazione di valore delle quote, rappresenta la componente finanziaria del contratto.
Il fulcro della questione attiene alla natura di tali prodotti emessi dalle compagnie di assicurazione: è, cioè, necessario accertare se le polizze unit linked assolvano a una funzione previdenziale, tipica del contratto di assicurazione, oppure si qualifichino come contratto con causa esclusivamente speculativa e finanziaria.
È necessario preliminarmente considerare che la polizza unit linked ha in tutti i casi carattere aleatorio, in quanto il rischio rimane comunque elemento caratterizzante il contratto.
Si consideri al riguardo che elemento essenziale del contratto di assicurazione è il trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore, contro pagamento di un premio; il trasferimento di tale rischio realizza la finalità previdenziale perseguita dall’assicurato (che converte il danno futuro e incerto in un costo presente e determinato corrispondente al premio) e la finalità speculativa perseguita dall’impresa di assicurazione (che realizza un guadagno ripartendo tra gli assicurati l’onere derivante dal realizzarsi dei rischi assicurati).
Il quesito cui bisogna rispondere per determinare se la polizza unit linked possa qualificarsi come contratto di assicurazione sulla vita è, pertanto, se con la sottoscrizione del contratto il rischio attinente la durata della vita dell’assicurato sia effettivamente trasferito in capo all’assicuratore, o, altrimenti detto, se l’assicuratore assuma su di sé un effettivo rischio collegato con l’aleatorietà dell’evento.
Tale rischio rappresenta la c.d. componente demografica del contratto, e nelle polizze unit linked sussiste quando può esistere uno scostamento fra la sopravvivenza effettiva dell’assicurato e la sua sopravvivenza teorica e l’assicuratore assuma su di sé il rischio che, sulla base delle previsioni attuariali e statistiche di sopravvivenza, sia dovuta le prestazione dedotta nel contratto per un valore corrispondente a un numero di quote che varia a seconda dell’atteggiarsi del rischio. A questo tratto caratteristico può aggiungersi l’impegno da parte dell’assicuratore di corrispondere comunque un importo minimo al verificarsi del rischio, e si parla in questo caso di polizze garantite, integralmente o parzialmente.
La difficoltà nell’analisi di questi aspetti relativa alle polizze unit linked è data dal particolare collegamento esistente fra la realizzazione del rischio dedotto in polizza e la quantificazione della prestazione dovuta dall’assicuratore.
Come chiaramente spiegato dall’Isvap nel Quaderno n. 5, nelle polizze unit linked l’esistenza del rischio demografico, e quindi la presa in carico da parte dell’assicuratore di un rischio collegato con l’aleatorietà dell’evento dedotto nella polizza, si esprime nella circostanza che il rapporto tra il numero di quote attribuite all’assicurato all’atto del pagamento del premio e il numero di quote previste per la prestazione dell’assicuratore è funzione delle ipotesi di sopravvivenza.
È a dire, precisa sempre l’Isvap, che il rischio demografico deve essere indipendente dal rischio relativo alla gestione degli investimenti, e ciò si verifica quando le previsioni di sopravvivenza incidono esclusivamente sulla determinazione del numero di quote dovute al verificarsi del rischio vita dedotto nel contratto.
Per contro, il rischio finanziario, cioè quello relativo al valore delle quote al momento del pagamento della prestazione, cioè al valore degli attivi in portafoglio, non è fisiologicamente assunto dall’assicuratore, e rappresenta la componente prettamente finanziaria del contratto.
Ne deriva che nel caso di polizze unit linked il cui regolamento contrattuale rispecchi tale criterio di determinazione della prestazione a carico dell’assicuratore, risulti difficilmente contestabile l’esistenza della componente demografica del contratto, e la sua conseguente qualificazione come prodotto assicurativo, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Diversamente, lo stesso non potrebbe concludersi solamente in quelle ipotesi in cui la prestazione dovuta al verificarsi dell’evento relativo alla vita umana dedotto in polizza fosse quantificata esclusivamente sulla base del valore corrente delle quote assegnate al momento del pagamento del premio, cioè se la variabilità della prestazione fosse funzione esclusiva del valore attuale degli attivi in portafoglio.
In tali evenienze sarebbe evidente che in capo all’assicuratore non permarrebbe nessun rischio legato all’aleatorietà dell’evento relativo alla vita dell’assicurato, ma che, per converso, il solo soggetto assicurato assumerebbe su di sé un rischio, di natura esclusivamente finanziaria, relativo all’oscillazione di valore delle quote stesse; in sostanza, l’evento relativo alla vita dell’assicurato non rappresenterebbe più un elemento di rischio determinante per la quantificazione della prestazione dovuta dall’assicuratore, ma costituirebbe solamente la mera occasione per il pagamento di una prestazione variabile.
In questo senso deve essere inteso e applicato il principio generale enunciato dalla Corte di Cassazione sul tema nella sentenza 6061/2012. In quella sede i giudici di legittimità hanno sancito che l’elemento caratterizzante per distinguere i contratti di assicurazione sulla vita dagli strumenti finanziari è che nei primi vi è un assunzione da parte dell’assicuratore del rischio avente ad oggetto un evento dell’esistenza dell’assicurato, mentre nei secondi il rischio c.d. di performance è per intero addossato sull’assicurato.
La lettura proposta è inoltre anche pienamente coerente con le disposizioni del Tuf seguenti alle modifiche introdotte dal dlgs 262/2005, in virtù delle quali anche ai prodotti finanziari emessi dalle compagnie assicurative, fra cui le polizze unit linked, trovano applicazione le disposizioni relative alla sottoscrizione e collocamento dei prodotti finanziari, così come quelle che estendono su tali prodotti il potere di vigilanza, ispettiva e regolamentare della Consob. È evidente, infatti, dalla ricostruzione illustrata, che l’elemento finanziario resta comunque un tratto fortemente caratterizzante dei prodotti unit linked, che rende più che giustificata la sottoposizione alla disciplina relativa agli strumenti finanziari.
Da queste brevi considerazioni deriva che le polizze unit linked, soggette alla disciplina propria dell’intermediazione assicurativa così come a quella dell’intermediazione finanziaria, debbano a tuttora considerarsi strumenti che offrono un altissimo grado di tutela e garanzia per i risparmiatori.
Si conferma, in particolare, applicabile alle polizze unit linked il trattamento proprio dei contratti assicurativi vita ai fini dei tributi successori. Si rammenta al riguardo che, giusto il disposto del primo comma, lett. c), dell’art. 12 del dlgs 346/1990, le indennità spettanti per diritto proprio in forza di assicurazioni previdenziali non concorrono a formare l’attivo ereditario; tale circostanza si realizza nelle polizze unit linked in quanto contratti assicurativi, ai sensi dell’art. 1920 c.c. in virtù del quale il beneficiario acquista un diritto proprio (dunque non iure successionis) ai vantaggi dell’assicurazione.
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Due i casi di contestazioni massive
Nel recente passato due sono stati i casi di contestazioni massive ad opera delle autorità di vigilanza e delle autorità fiscali relative a prodotti assicurativi. Il primo riguarda le polizze Life Portfolio International collocate in Italia da società estere del gruppo Credit Suisse. La diffusione di questi prodotti sul mercato italiano si è palesata in occasione della manovra di Voluntary disclosure del 2015. L’Agenzia delle entrate ha contestato ai contraenti italiani di tali polizze la nullità o inesistenza dei prodotti assicurativi sull’assunto che le condizioni delle polizze fossero tali da far concludere che, nei fatti, i contraenti non erano, come si suol dire, «spossessati» degli asset conferiti o comunque oggetto della gestione finanziaria delle polizze. Ciò in quanto le funzioni gestorie concretamente svolte dall’impresa assicuratrice erano talmente risicate da permetter di ricondurre la gestione attiva dei portafogli in polizza direttamente ai contraenti. Particolarmente significativa al riguardo era considerata la possibilità per i contraenti di effettuare prelievi sostanzialmente ad libitum, tramite riscatti parziali delle polizze. In sede contenziosa molti casi si sono risolti a favore dei contribuenti, stante il mancato assolvimento dell’onere probatorio specifico da parte dell’Agenzia delle entrate. Molto diverso il caso delle polizze index linked aventi come sottostante obbligazioni Lehman brothers, come quella oggetto del giudizio di merito che ha portato alla pronuncia della recente ordinanza di Cassazione 10333/2018. Queste polizze prevedevano che la prestazione a carico dell’impresa assicuratrice fosse ancorata alle obbligazioni emesse dalla Lehman brothers, che all’epoca della diffusione dei prodotti avevano un buon rating e che tuttavia furono travolte dall’inaspettata procedura di amministrazione controllata della banca americana. In pratica, l’impresa assicuratrice non aveva alcuna obbligazione in proprio di rimborso del capitale investito, essendo il rimborso stesso collegato al rischio relativo all’andamento del titolo obbligazionario. Su questa specifica tipologia di prodotti, i giudici di merito hanno ritenuto in diverse occasioni (fra cui Tribunale di Cagliari, 22 febbraio 2012, n. 513) che il contratto, che pure dava evidenza del collegamento delle prestazioni dell’impresa assicuratrice con l’andamento dei titoli obbligazionari Lehman brothers, non mettesse i contraenti nelle condizioni di comprendere i reali effetti economici pregiudizievoli relativi alla diminuzione del capitale liquidabile in caso di default dei titoli, effetti poi verificatisi nella pratica. Un tema, dunque, di informativa contrattuale, e non attinente alla natura assicurativa del prodotto.

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