Cds in adunanza plenaria: p.a. corretta anche ante-aggiudicazione

Pure l’autotutela può determinare danno
di Paolo Cirasa e Chiara Di Maria
Tutela risarcitoria più ampia per chi partecipa alle gare. Il privato ha la possibilità di richiedere il risarcimento dei danni subiti anche per effetto dell’esercizio del potere di autotutela dell’amministrazione, limitatamente al cosiddetto «interesse negativo», ossia il danno consistente nelle perdite derivate dall’aver fatto affidamento sulla conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute. Il dovere di correttezza e buona fede oggettiva (e la conseguente responsabilità precontrattuale derivante dalla loro violazione) è infatti configurabile in capo all’amministrazione anche prima e a prescindere dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva. Non solo. Tale responsabilità è configurabile senza che possa riconoscersi rilevanza alla circostanza che la scorrettezza maturi anteriormente alla pubblicazione del bando oppure intervenga nel corso della procedura di gara.
Così si è pronunciato il Consiglio di stato in adunanza plenaria con la sentenza n. 5 del 4/5/2018. Essa, risolvendo il contrasto giurisprudenziale sorto sul punto, confuta l’orientamento restrittivo addotto dal collegio remittente e ostativo all’accoglimento di una tutela risarcitoria più ampia per i partecipanti alla gara. Tale ultimo orientamento sosteneva l’inconfigurabilità di una responsabilità precontrattuale prima dell’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, poiché, in tale fase, i partecipanti sarebbero titolari solo di un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della p.a. e, in ogni caso, l’applicabilità del dovere di correttezza e buona fede avrebbe presupposto una «trattativa» già in stato avanzato (c.d. «trattativa affidante»), idonea a far sorgere un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.
Il Consiglio di stato, invece, grazie a un’interpretazione teleologica e costituzionalmente orientata delle norme di riferimento, evidenzia come sia necessario adeguare la clausola generale di buona fede contenuta nell’art. 1337 c.c. al mutato contesto storico del paese, nel quale la portata del dovere di correttezza e buona fede è tale da prescindere dall’esistenza di una formale «trattativa» e, a maggior ragione, dall’ulteriore requisito che tale trattativa abbia raggiunto un livello così avanzato da generare una fondata aspettativa in ordine alla conclusione del contratto.
Il dovere di correttezza, così come interpretato dal collegio, mira a tutelare non la conclusione del contratto, ma la libertà di autodeterminazione negoziale. Il progressivo ampliamento del dovere di correttezza (che prescinde dall’esistenza di una trattativa precontrattuale in senso stretto), precisa la sentenza, ha trovato applicazione anche rispetto all’attività autoritativa della p.a., quando a dolersi della scorrettezza è proprio il privato che partecipa al procedimento.
La giurisprudenza, difatti, in più occasioni ha avuto modo di affermare che l’amministrazione è tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico (la cui violazione comporta l’illegittimità del provvedimento), ma anche le norme generali dell’ordinamento civile, ivi compresa la clausola generale di buona fede che impone di agire correttamente. La violazione di questo precetto incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, ossia di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza.
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