Eurizon (Intesa) e Amundi (Agricole) sono le sgr leader in Italia Assieme gestiscono 515 miliardi, il 25% del totale. Ma per la prima volta i francesi hanno raccolto più degli italiani. Ecco un confronto tra i due big
di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Eurizon e Amundi sono i re dei fondi in Italia, con masse rispettivamente pari a 310 e 205 miliardi di euro. Insieme le due società gestiscono 515 miliardi di euro, ossia il 25% del patrimonio complessivo dell’industria italiana dell’asset management, distribuito su più di 730 comparti retail collocati sul mercato tricolore. Certo, dall’alto di un patrimonio di 479,9 miliardi il gruppo Generali è ancora il leader, ma bisogna considerare che nei dati Assogestioni la compagnia è prima per via delle gestioni assicurative che fanno, è il caso di dirlo, la parte del leone con 323 miliardi. Se quindi si considerano i player specializzati nei fondi comuni, i due big sono appunto la società di gestione del gruppo Intesa Sanpaolo , guidata dall’ad Tommaso Corcos, e l’asset manager francese che lo scorso anno ha acquisito Pioneer da Unicredit , scalando diverse posizioni non solo nella classifica italiana ma anche in quella mondiale perché quest’ultima le ha portato in dote più di 200 miliardi di masse. E per la prima volta nel primo trimestre di quest’anno la società di gestione, al cui timone in Italia come amministratore delegato c’è l’ex di Pioneer Cinzia Tagliabue, ha superato in termini di raccolta netta Eurizon. La prima ha registrato flussi netti per 3,96 miliardi di euro, mentre per la seconda la raccolta netta è stata di 3,78 miliardi. Anche in Italia quindi, come d’altronde sta avvenendo a livello mondiale, si assiste a una sempre una maggiore concentrazione del mercato su alcuni grandi nomi. Se Eurizon può contare sulla rete degli sportelli bancari del primo gruppo bancario italiano, Intesa Sanpaolo , e grazie a un recente accordo con le Poste italiane anche sulla potenza di fuoco di 12.800 uffici postali, Amundi dopo l’acquisizione di Pioneer oggi distribuisce i suoi fondi tramite le filiali Unicredit oltre alla rete di Credit Agricole che in Italia ha quasi mille sportelli (tra cui spiccano quelli di Cariparma). D’altronde oggi per il mondo del risparmio gestito contare su grandi masse è fondamentale per far quadrare i conti. L’introduzione della MiFid II a gennaio di quest’anno ha già iniziato a esercitare i suoi effetti in termini di pressione sulle commissioni. Ma l’impatto potrà essere ancora maggiore nel momento in cui l’obbligo del nuovo foglio informativo Kid, che svela nel dettaglio i costi dei prodotti, sarà esteso anche ai fondi comuni. Logico quindi attendersi che la concorrenza tra operatori sarà sempre più agguerrita per conquistare il risparmio degli italiani. E in pole position ci sono proprio i colossi che, grazie a una rete di distribuzione capillare, possono raggiungere meglio gli investitori finali.
Un fenomeno simile si è visto a livello mondiale. Infatti dall’ultimo report di Morningstar sui dati dell’industria mondiale di fondi ed Etf (escluse le gestioni istituzionali) emerge come i due colossi Usa, BlackRock e Vanguard, stiano crescendo sempre più a scapito dei concorrenti. Dal punto di vista della raccolta 2017 domina BlackRock con flussi netti per 400 miliardi di dollari, grazie soprattutto agli Etf a marchio iShares che hanno raccolto più di 240 miliardi di dollari. Mentre per Vanguard la raccolta netta si è attestata a 384 miliardi di dollari. Morningstar sottolinea come questi due colossi stiano continuando a crescere a spese dei competitor. «Vanguard e BlackRock hanno insieme 7.500 miliardi di dollari in gestione tra fondi retail ed Etf. Questo è un dato vicino ai 7.900 miliardi complessivi gestiti dagli otto principali concorrenti», sottolinea il report di Morningstar. Considerando anche le gestioni istituzionali (3.500 miliardi di dollari) le masse di BlackRock salgono a 6.300 miliardi di dollari perchè i fondi collocati ai risparmiatori ed Etf valgono circa 2.400 miliardi di dollari (cui si aggiunge una quota residuale di gestioni cash). BlackRock è quindi il maggior gestore al mondo, seguito da Vanguard che ha asset totali per 5.100 miliardi di dollari. E tra i big a livello internazionale c’è anche Amundi, che di masse ne ha 1.400 miliardi di euro. Mentre Eurizon ha una ridotta esposizione ai mercati esteri dato che i suoi asset globali ammontano a 314 miliardi di euro, un importo che supera di soli 4 miliardi le masse riferite al mercato italiano. Ma a chi conviene dare fiducia tra i due big del risparmio?

L’ultimo Morningstar European rating analysis on investment funds, studio curato da Nikolaj Holdt Mikkelsen e Ali Masarwah, che rappresenta una valutazione quantitativa del rendimento aggiustato per il rischio dell’universo dei fondi ed Etf (Exchange traded fund) domiciliati nel Vecchio Continente, permette di vedere quanti fondi di Amundi ed Eurizon, con rating Morningstar, si collocano tra i prodotti a quattro e cinque stelle, ovvero il massimo del voto in una scala che parte da una. Il Morningstar Rating, più comunemente denominato Star rating, è una misura quantitativa delle performance passate. Si basa sul calcolo dei rendimenti corretti per il rischio e i costi, all’interno della categoria di appartenenza, su un orizzonte temporale di tre, cinque e dieci anni e aiuta gli investitori a comprendere la storia di un fondo rispetto a quella degli altri prodotti appartenenti alla stessa categoria. Il primo 10% di fondi di una categoria riceve le cinque stelle, il successivo 22,5% quattro stelle, l’ulteriore 35% tre stelle, mentre al successivo 22,5% e all’ultimo 10% vengono assegnate rispettivamente due e una stella (valutazione scarsa). Il rating viene calcolato solo per i fondi che dispongono di dati relativi ad almeno i tre anni precedenti e per categorie abbastanza popolate e omogenee.
Ebbene, dalle analisi di Morningstar relative ai 50 più grandi asset manager d’Europa emerge che il 35% delle masse di Amundi si riferisce a fondi a quattro e cinque stelle, mentre per Eurizon tale quota sale al 44%. A titolo di confronto, il primo in assoluto tra i big è Pimco con l’87% dei fondi che ha meritato quattro e cinque stelle (si veda tabella in pagina).
Su cosa stanno puntando? Nel caso di Amundi il gruppo si concentra sulle gestioni multi asset (che mettono in portafoglio varie asset class come azioni, obbligazioni, liquidità e valute) in particolare sulle soluzioni prudenziali e absolute return che promettono di proteggere i portafogli in caso di eventuali fiammate di volatilità. Il focus è anche sui prodotti income (sia fondi obbligazionari che multi asset e flessibili) che offrono ai sottoscrittori un flusso cedolare. Inoltre l’asset manager continua a cavalcare il tema dei Pir. E nell’azionario propone investimenti tematici, ovvero legati a particolari fenomeni globali, come l’invecchiamento della popolazione o l’avanzata della tecnologia. «In un contesto di mercati in agitazione, l’investimento tematico si distingue come alternativa ai rischi ciclici», spiega Amundi. Di questo gruppo fanno parte i tre comparti Food for Generations, Global Silver Age e Global Disruptive Opportunities. Ma il multi asset resta un punto di forza del gruppo in Italia: circa il 70% della raccolta realizzata in Italia nel primo trimestre è relativa a questa asset class. Che ha ricevuto forte impulso proprio con Pioneer. Quest’ultima, prima dell’acquisizione, su circa 220 miliardi di euro asset gestiti globalmente ne aveva quasi il 50% investito in tali prodotti. Non a caso il gruppo francese ha creato a Milano il centro di investimenti globale dedicato ai fondi multi asset. Questo hub si affianca agli altri cinque sparsi per il mondo (Boston, Dublino, Londra, Parigi e Tokyo). Nel frattempo il gruppo registra una forte crescita anche per le soluzioni indicizzate. Amundi infatti, a differenza di Eurizon, offre anche gli Etf. Bisogna poi ricordare che con Pioneer Amundi si sta rafforzando anche sull’equity e soprattutto sulle azioni delle pmi europee.
D’altro canto il gruppo italiano Eurizon punta più in questa fase sui prodotti flessibili e sull’azionario. In vetrina sul suo sito ci sono infatti i fondi legati ai Pir e i comparti della famiglia Target, che prevedono una crescita progressiva della componente azionaria utilizzando un meccanismo simile a quello dei piani di accumulo, con l’obiettivo, spiega la società di «ridurre l’ansia di investire nei mercati azionari e di gestire meglio il market timing, ovvero la scelta di ingresso e di uscita dagli stessi».
Per quanto riguarda la gamma esistente, dall’analisi dei dati Fida sulla gamma di fondi retail offerti in Italia dai due gruppi emerge che Amundi ne ha circa 150 tra monetari e obbligazionari sui più di 400 offerti, mentre Eurizon ha una settantina di fondi bond e monetari su più di 300. Di bilanciati (ovvero comparti che contengono azioni e bond) la sgr del gruppo Intesa Sanpaolo ne ha più di 130, mentre Amundi ne ha circa la metà. Molti bilanciati di tutti e due i gruppi sono a scadenza e hanno quindi un funzionamento simile a quello dei Btp (si tratta di fondi che hanno una durata predeterminata in genere quattro o cinque anni e poi diventano dei monetari oppure vengono fusi con comparti di analoga specializzazione). Nei flessibili entrambi hanno una settantina di prodotti e anche in questo caso si ritrovano alcuni fondi a scadenza. La sfida per tutti è quella di offrire una gamma completa di prodotti a costi competitivi.
Su questo fronte fa notizia la decisione di Fidelity International di creare anche in Italia (dopo avere fatto lo stesso negli Stati Uniti) classi di fondi con commissioni di gestione variabili anziché fisse. In sostanza se il fondo perde, il colosso dell’asset management addebiterà al sottoscrittore minori costi. Per ora la novità è limitata a cinque prodotti dedicati ai fondi di fondi, ma in futuro, vista la pressione degli Etf e dei fondi passivi a basso costo, potrebbe anche essere estesa ad altri prodotti. E altre sgr potrebbero seguirne l’esempio di Fidelity. (riproduzione riservata)
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