Trasformare la compagnia in spa sarebbe stato rischioso, dice l’ad Minali. Che ha però rivisto profondamente la governance della società Il 2018 è partito bene, come l’accordo con il Banco. Poste? Meglio di no
di Anna Messia
La governance di Cattolica, unica assicurazione cooperativa italiana quotata, è stata modificata ma non stravolta; il management rafforzato con diversi innesti chiave; il maxi accordo con Banco Bpm è pronto prima del previsto. Cattolica Assicurazioni marcia spedita sull’attuazione al piano industriale 2018-2020 che l’ad del gruppo, Alberto Minali, ha presentato a Piazza Affari a gennaio. A un anno dall’arrivo al timone di Cattolica il manager, ex dg di Generali , ha già fatto tanto. Ma gli obiettivi del business plan, cioè il raddoppio da 200 a 400 milioni in tre anni dell’utile operativo e l’aumento della cedola a più di 50 centesimi rispetto ai 35 attuali, sono decisamente impegnativi in un mercato complicato da bassi tassi e premi Rc Auto calati negli ultimi anni del 25%. «Dai primi segnali sembra che il 2018 sia partito bene», dice Minali (la trimestrale sarà presentata venerdì 11, ndr) e dopo l’ingresso lo scorso ottobre di Warren Buffett, primo azionista della compagnia con il 9,05% del capitale, nuovi investitori istituzionali potrebbero presto muovere su Cattolica perché «c’è forte interesse per i nostri piani di crescita».
Domanda. Con l’assemblea del 28 aprile è stato completato il riassetto della governance di Cattolica, che prevede fino a due rappresentanti dei soci di capitale nel cda ma non elimina il modello cooperativo. Qualcuno si aspettava un passaggio definitivo alla spa.
Risposta. La trasformazione in spa non è mai stata sul tavolo e l’assemblea ha votato all’unanimità le proposte di modifica avanzate dal cda. Si è deciso di optare per una terza via tra spa e forma cooperativa pura, introducendo correttivi che allineano Cattolica ai migliori standard internazionali prevedendo per esempio il modello monistico, prima compagnia assicurativa in Italia a sceglierlo, e tagliando il numero dei consiglieri a 17. Il passaggio definitivo a spa sarebbe stato una rivoluzione piuttosto che un’evoluzione, forma di sviluppo che personalmente preferisco, e sarebbe stato anche un potenziale rischio per Cattolica.
D. A cosa si riferisce?
R. La società sarebbe stata scalabile, con il rischio di essere fusa in un gruppo internazionale più grande spezzando il legame con il territorio, che invece reputo un valore molto importante. A differenza delle banche in questo periodo c’è molto appetito per le assicurazioni. E poi il modello cooperativo ha dimostrato di funzionare bene. In questi 12 mesi, prima della riforma della governance abbiamo lavorato bene e siamo riusciti ad approvare il piano industriale. Certo c’era bisogno di qualche correttivo e lo abbiamo introdotto, ma anche i grandi investitori istituzionali sembrano apprezzare la nostra governance e i nostri piani.
D. Dopo Buffett ce ne sono altri pronti a entrare?
R. Oltre a Berkshire Hathaway (la società di Buffett, ndr) nel capitale ci sono già altri investitori istituzionali importanti come Norges, e nel tour internazionale che abbiamo fatto per presentare i piani della società l’interesse è stato molto alto, pari a quello visto nella mia precedente esperienza lavorativa (Generali , ndr) pur essendo il giro d’affari di Cattolica meno di un ventesimo. Ci vuole un po’ più di tempo per far capire che in Cattolica oltre agli azionisti ci sono anche i soci, ma gli investitori apprezzano i nostri piani di crescita e ci sono fondi canadesi long only che sembrano molto interessati ai rendimenti e ai dividendi stabili previsti dal piano.
D. L’incertezza politica che vive il Paese è un freno? Quali sono i rischi per imprese come la vostra che investono gran parte delle riserve in Btp?
R. Anche in altri Paesi democratici si è visto che a volte occorrono mesi per fare un governo, e i mercati del resto non sembrano preoccupati. Spero però che s’insedi un governo stabile in grado di varare le riforme che il settore assicurativo attende da anni, intervenendo su calamità naturali, sinistri con grandi lesioni, o ancora salute e previdenza.
D. A fine marzo avete avuto via libera dall’Ivass per la joint venture con Banco Bpm . Che piani avete per questo accordo decennale su cui avete investito più di 850 milioni?
R. Il progetto Giulietta, il nome che abbiamo scelto per la joint venture con il Banco, prevede una crescita entro il 2020 di 3 miliardi dei premi vita e di 140 milioni dei premi danni, e grazie alla buona chimica creatasi tra i team coinvolti riusciremo a partire in anticipo di un mese rispetto alla tabella di marcia, con l’avvio a giugno anziché a luglio. Non è poca cosa visto che un mese di attività significa circa 200-300 milioni di nuova produzione.
D. Ma a fine piano, nel 2020, scadrà la partnership con il gruppo Ubi, che potrebbe decidere di creare una propria compagnia interna al gruppo. Avete iniziato a discutere con loro?
R. Ubi è un partner rodato e molto importante per noi. La raccolta tramite le loro filiali va bene, come anche l’altro accordo che abbiamo con Iccrea. Per darle qualche numero, Ubi raccoglie circa 2 miliardi l’anno di polizze e quando apriranno l’asta per il nuovo accordo saremo pronti a fare la nostra parte. Non abbiamo ancora aperto alcuna discussione e starà a loro decidere se optare per una compagnia interna, che però richiede capitali, o per una nuova partnership. Per quanto ci riguarda siamo interessati ad andare avanti con la partnership.
D. In questi mesi sembra aprirsi un’altra opportunità di crescita nella distribuzione. Poste Italiane , con la loro enorme e capillare rete di oltre 11 mila uffici, cercano partner assicurativi per crescere nel ramo Danni. Siete interessati?
R. Le potenzialità sono enormi e siamo stati invitati ma alla fine abbiamo preferito non aderire. Ci è stato chiesto di partecipare alla gara per il business auto e abbiamo valutato che l’impatto negativo per le nostre agenzie, oggi ancora operanti soprattutto nel business auto, sarebbe stato superiore ai benefici dell’accordo. Gli agenti sono centrali per il nostro modello di business e su di loro investiamo molto. Per questo abbiamo preferito non proseguire le discussioni.
D. L’altro punto importante previsto dal piano è l’innovazione tecnologica. Quanto investirete?
R. Il progetto si chiama Data Driven Company e posso dire che è il più importante cambiamento avviato dalla compagnia con il mio arrivo perché inciderà su tutto il business del gruppo, compresi gli accordi bancassicurativi. Entro fine 2019 investiremo tra gli 8 e i 10 milioni per creare una piattaforma di elaborazione dei dati dei nostri clienti, che ci consentirà di affinare e personalizzare l’offerta. In questi mesi stiamo scegliendo il partner che dovrà costruire l’architettura dati e stiamo parlando con i più grandi operatori internazionali, da Google a Sap o ad Amazon .
D. Parlando invece del titolo, dopo una forte crescita innescata dal suo arrivo e dal nuovo piano industriale ora il valore si è stabilizzato. Alessandro Mazzucco , presidente della fondazione Cariverona, vostro azionista con il 3,4%, ha detto addirittura di essere pronto a valutare scelte d’investimento alternative se il valore non tornerà a crescere. Quali sono le sue attese sul titolo?
R. Se la Fondazione ha altre opportunità di investimento migliori della nostra le deve valutare. Ma già quest’anno Cattolica ha dato un buon rendimento con un cedola di 35 centesimi che rappresenta un dividend yield del 4%. Il piano triennale poi prevede una forte crescita del dividendo e daremo soddisfazioni crescenti agli azionisti che sapranno aspettare. Il 2018 è partito bene e ci sono tutte le premesse per realizzare i nostri progetti. (riproduzione riservata)
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