di Luisa Leone
Rebus Cdp per le assicurazioni italiane. Un rebus che vale 200 milioni di euro.
Il sistema assicurativo tricolore detiene, nel suo complesso, titoli obbligazionari emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti per circa 3,5-4 miliardi di euro, una buona fetta dei 9 miliardi euro fotografati dal bilancio di Cdp al 31 dicembre 2016. Fin qui nulla da decifrare.
Il gioco si complica però se si guarda al modo in cui questi titoli sono classificati dalle compagnie nei propri bilanci. Diverse assicurazioni, infatti, negli anni scorsi avevano acquistato le obbligazioni della società, detenuta per oltre l’80% del capitale dal ministero dell’Economia e delle Finanze, considerandoli equiparabili a quelli emessi dallo Stato italiano, che in base ai dettami di Solvency II non necessitano di coperture.
Oggi invece quelle obbligazioni targate Cdp assorbono, a livello di sistema assicurativo italiano, circa 200 milioni di euro di capitale. Sono in pratica trattate come tutti gli altri bond societari presenti nei portafogli delle compagnie.
Eppure le obbligazioni di Cdp si muovono in termini di volatilità (e dunque di rischiosità) in maniera armonica rispetto ai titoli governativi. Eppure le agenzie di rating assegnano alla Cassa Depositi e Prestiti lo stesso rating dell’Italia (tra BBB e BBB+) per «il legame con lo Stato italiano, che supervisiona le attività di interesse economico generale svolte da Cdp e garantisce gli strumenti di raccolta postale», si legge sul sito della holding del Tesoro. Eppure queste obbligazioni sono state acquistabili dalla Banca Centrale Europea, in quanto emesse da un’agenzia nazionale, ben prima di quelle societarie. Eppure con la Legge di Stabilità 2016 la Cassa Depositi e Prestiti è diventata ufficialmente Istituto di promozione nazionale.
Nessuna di queste chiavi di lettura serve però a risolvere il rebus delle compagnie italiane, che, dopo quanto deciso dall’Ivass in merito, hanno dovuto tutte classificare i bond di Cassa Depositi e Prestiti come normali obbligazioni corporate, con il conseguente, per molte non preventivato, assorbimento di capitale.
Alla base dell’inghippo ci sarebbe (anche) una questione di ordine formale: l’identificativo delle emissioni di Cassa Depositi e Prestiti è diverso da quello dei titoli di Stato e per questo i due strumenti non potrebbero essere considerati allo stesso modo. Apparentemente si tratta di una questione di lana caprina, che però immobilizza 200 milioni dio euro di capitale che potrebbero invece essere utilizzati per coprire nuove sottoscrizioni, magari di altre aziende del settore produttivo italiano.
Così, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, lo scorso mese di aprile l’Ania, l’associazione che riunisce le compagnie assicurative italiane, avrebbe deciso di porre la questione all’attensione dell’Ivass, che starebbe ora valutando le possibili soluzioni.
Innanzitutto bisognerà capire se l’autorità nazionale, qualora decidesse di accettare la versione delle compagnie (ovvero che i titoli di Cassa Depositi e Prestiti sono equiparabili a quelli governativi), possa agire senza un preventivo benestare da parte dell’Europa oppure se invece sarà necessario coinvolgere Bruxelles nella partita.
Potrebbe per esempio essere richiesto che Cdp venga inserita nell’elenco, allegato alla direttiva Solvency II, degli emittenti le cui obbligazioni non comportano assorbimento di capitale. In questa lista sono già presenti, per esempio, l’omologa tedesca di Cassa Depositi e Prestiti (Kfw-Kreditanstalt für Wiederaufbau) e lo spagnolo Instituto de Crédito Oficial (Ico), che però godono di una garanzia diretta degli Stati di appartenenza. Non a caso una soluzione alle richieste delle compagnie potrebbe passare proprio dal meccanismo della garanzia anche per le obbligazioni di Cdp.
Al momento però non sarebbe ancora stata trovata la quadratura del cerchio, sebbene, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, l’autorità di regolamentazione delle assicurazioni e la holding presieduta da Claudio Costamagna siano in contatto per confrontarsi sul tema.
Di sicuro se i suoi bond non assorbissero capitale ai fini regolamentari per le compagnie, che sono state finora tra i principali sottoscrittori, ciò rappresenterebbe un plus per la stessa Cassa Depositi e Prestiti. Infatti, sebbene alla base della scelte di investimento ci sia comunque sempre il rendimento, l’avere un vantaggio in termini regolamentari potrebbe rivelarsi un assist per le future emissioni della società del Tesoro. Cdp al proposito ha ancora in piedi l’Emtn del 2005 (da 13 miliardi di euro) e nel 2015 ha lanciato un nuovo programma da 10 miliardi di euro. Di quest’ultimo risultano attualmente emessi meno di 1 miliardo di bond: 70 milioni nel 2015, 250 milioni nel 2016 e 500 milioni nel 2017.
Le compagnie assicurative, da canto loro, dopo aver sollevato la questione tramite l’Ania, sarebbero invece in attesa di un feedback da parte dell’Ivass, l’unica a poter sciogliere davvero il rebus. (riproduzione riservata)
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