di Daniele Cirioli

Pace fatta tra Tfr e pensione integrativa. Chi sceglie la seconda, non sarà costretto a rinunciare a tutto il trattamento di fine rapporto lavoro (Tfr). Al fondo pensione, infatti, potrà destinare una percentuale del Tfr, anche minima, secondo quanto fissato con accordo anche aziendale. A stabilirlo, tra l’altro, è il maxiemendamento del governo al ddl concorrenza approvato ieri dal senato, con una serie di norme in materia di previdenza integrativa. Che prevedono, inoltre, il prepensionamento dai fondi pensioni, in caso di disoccupazione superiore a 24 mesi (oggi 48), con la riduzione dei requisiti ordinari fino a 10 anni (oggi cinque).

La pensione di scorta

Le novità riguardano la previdenza integrativa, la cui disciplina ha spento le dieci candeline. Le attuali regole, in vigore da gennaio 2007, danno un ruolo fondamentale al Tfr, quale mezzo principale di finanziamento delle pensioni di scorta. Chi viene assunto, infatti, ha l’obbligo di manifestare la sorte che vuole dare al proprio Tfr: mantenerlo come forma di retribuzione differita, cioè da intascare a fine carriera; oppure investirlo in una pensione integrativa, con la sua «integrale» destinazione a uno specifico fondo pensione. Se non viene fatta scelta, il Tfr comunque finisce in previdenza integrativa: nel fondo pensione aziendale o settoriale ovvero, se questi fondi non esistono, a FondInps (fondo pensione operativo all’Inps).

Pace fatta?

Oggi dunque è impossibile la convivenza tra Tfr e pensione integrativa: o l’uno o l’altra. Ma nel futuro le cose potrebbero cambiare. Il maxiemendamento, infatti, modificando l’art. 8 del dlgs n. 252/2005, stabilisce che gli accordi, anche aziendali, «possono stabilire la percentuale minima di Tfr maturando da destinare a previdenza complementare». E aggiunge che «in assenza di tale indicazione il conferimento è totale». La norma, pertanto, dà facoltà agli accordi tra lavoratori e datori di lavoro di prevedere la possibilità di investire solo una quota del Tfr, così da preservare sia la «buonuscita» e sia la costruzione di una rendita aggiuntiva alla pensione pubblica.

Il prepensionamento

Per il conseguimento della pensione integrativa valgono gli stessi requisiti fissati per il diritto alla pensione obbligatoria (quella Inps). Una seconda novità del maxiemendamento riguarda la possibilità di ottenere prima la pensione integrativa (quale sorta di prepensionamento). In base alle regole vigenti, la possibilità è oggi riconosciuta ai lavoratori in caso di cessazione del lavoro con un’inoccupazione superiore a 48 mesi e per un anticipo massimo di cinque anni rispetto ai requisiti ordinari. Le novità previste sono le seguenti:

a) riduzione a 24 mesi del periodo d’inoccupazione per il diritto all’anticipo della pensione integrativa;

b) l’anticipo può riguardare sia tutta la pensione integrativa e sia parte di essa e può essere richiesta anche in forma di rendita temporanea, cioè fino alla maturazione dei requisiti per il diritto alla pensione obbligatoria;

c) i fondi pensione possono elevare l’anticipo da cinque anni (il minimo previsto per legge) fino al massimo di dieci anni.

Il riscatto

Infine, il maxiemendamento prevede il diritto al riscatto del montante contributivo (cioè tutto quanto è stato versato e maturato nei fondi pensione) anche dai Fip, dalle forme di previdenza individuali. E conferma, come oggi, l’applicazione in tal caso di una ritenuta fiscale del 23%.

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