di Pier Emilio Gadda
La reflazione sta perdendo vigore. Da qualche settimana, la dinamica avviata nella seconda metà dello scorso anno con il sollevamento delle aspettative su crescita e prezzi al consumo sembra aver invertito la rotta: dopo aver superato il 2,6% a metà marzo, circa 130 punti base sopra i minimi dello scorso luglio, i rendimenti del decennale americano sono tornati a scendere, attestandosi attorno al 2,3%. «Il recente calo riflette un cambiamento, da positivo a cauto, nell’atteggiamento del mercato verso le proposte di Donald Trump, specialmente dopo il fallimento del tentativo di stravolgere la riforma sanitaria Obamacare», spiega David Hawa, client portfolio manager fixed income di Robeco, asset manager con 137 miliardi di euro in gestione a livello globale, entrata direttamente sul mercato italiano con l’apertura di una filiale a Milano a inizio 2016. «Prevedo un tasso di crescita del pil tra il 2 e il 2,5%, non oltre. La riforma fiscale verrà rimandata, quindi non mi aspetto un significativo trend reflattivo», aggiunge. Se questo scenario fosse confermato, la Federal Reserve sarebbe nelle condizioni di proseguire con gradualità il processo di normalizzazione dei tassi, senza strappi. Intanto, inizia a montare il dibattito sulla riduzione del bilancio della Federal Reserve, gonfiato fino a quota 4,5 mila miliardi di dollari dopo tre round di easing quantitativo. Presto o tardi, la presidente Janet Yellen dovrà iniziare l’opera di smaltimento. «L’annuncio avverrà probabilmente verso fine anno», ipotizza il gestore, «e potrebbe generare tassi un po’ più alti e una curva un più ripida per i titoli del Tesoro americano». Il tema, però, non è ancora entrato nei radar degli investitori e per il momento il pericolo non sembra imminente. Semmai, suggerisce il money manager, conviene prestare attenzione al mercato del credito: il ciclo è maturo, spiega Hawa, specialmente negli Stati Uniti. Le obbligazioni high yield americane sono state regine di performance nel 2016 (+17%) e oggi gli spread valgono 350 punti base, la metà rispetto a 15 mesi fa. «Siamo cauti sui titoli ad alto rendimento, perché, dal punto di vista valutativo, appaiono cari. Manteniamo la nostra preferenza per gli high yield europei: vantano fondamentali migliori, con bilanci più solidi e livelli di debito inferiori. In termini di valutazioni, se ci si focalizza sulle emissioni con un rating BB e B, escludendo le CCC, le società del Vecchio Continente risultano inoltre più a buon mercato rispetto alle omologhe americane». Un’area che il gestore dichiara di osservare con particolare interesse è quella dei titoli finanziari emessi da banche e società assicurative. «Privilegiamo i subordinati, perché crediamo che il rischio assunto sia ben compensato: il contesto regolamentare ha imposto una riduzione della leva finanziaria e un miglior posizionamento per affrontare un potenziale contesto recessivo, in quanto nei bilanci sono stati accumulati cuscinetti di capitale». Hawa favorisce i titoli Lower Tier 2 emessi da compagnie assicurative mentre le emissioni Additional Tier1, i cosiddetti Coco bond, risultano care. Vale una precisazione: «Abbiamo un approccio prudente nei confronti delle banche italiane: nell’area dei titoli subordinati non abbiamo esposizione alla Penisola». Al contrario, dopo il recente allargamento degli spread, il gestore dichiara di essere tornato ad acquistare titoli di Stato italiani. «Tuttavia», precisa, «rimaniamo negativi sui fondamentali e sulla situazione politica. Se i rendimenti dovessero scendere troppo e i rischi non fossero correttamente prezzati, siamo pronti a rivedere le nostre posizioni». (riproduzione riservata)
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