di Stefania Peveraro
Altro che 18 miliardi di euro in cinque anni, come aveva previsto inizialmente il ministero dell’Economia. Nell’ultima settimana il governo da un parte e i due principali broker italiani hanno alzato in maniera importante le loro previsioni di afflusso di risorse verso i Piani Individuali di Risparmio (Pir), che si sono allineate attorno ai 10 miliardi di euro già per quest’anno. Il tutto senza contare quello che potrebbe arrivare sul mercato se si convogliasse parte del risparmio previdenziale.

«Possiamo tranquillamente dire che le nostre stime di 16-18 miliardi di euro di raccolta in cinque anni saranno abbondantemente superate», ha infatti dichiarato lo scorso 11 maggio Fabrizio Pagani, a capo della segreteria tecnica del ministero dell’Economia e delle Finanze, nel corso di un convegno organizzato sui Pir da Banca Mediolanum .

Quanto a Equita, la sim ha alzato da 1,6 miliardi a 10 miliardi di euro la propria stima dei flussi 2017 dell’intero mercato. Nel complesso, anche alla luce delle indicazioni di altri operatori, in primis Eurizon (la sgr del gruppo Intesa Sanpaolo che ha raccolto a oggi 800 milioni di euro sui suoi fondi a norma Pir), Equita ritiene che «gli acquisti sui titoli mid-small possano rappresentare il 4,2% del flottante nel 2017 e il 5,4% nel 2018 e che gli acquisti cumulati nei cinque anni arrivino al 23,1% del flottante».

Da parte sua Intermonte sim prevede che i Piani Individuali di Risparmio saranno in grado di catalizzare risorse dai privati per ben 67,6 miliardi di euro in cinque anni, di cui già 9,8 miliardi quest’anno.

Come noto, gli investitori possono beneficiare dell’esenzione fiscale prevista dalla normativa per gli investimenti in Pir fino a 30 mila euro l’anno, per un massimo di 150 mila euro in cinque anni, se il Pir è strutturato secondo quanto stabilito dalla Legge di Bilancio 2017. I Pir dovranno investire almeno il 70% del loro patrimonio in strumenti finanziari emessi da società residenti in Italia o che siano stabili organizzazioni italiane di società membre della Ue o dello Spazio Economico Europeo. Quindi, calcola Intermonte, le risorse che arriveranno su queste società saranno 6,86 miliardi di euro quest’anno e 47,3 miliardi nei cinque anni. E dato che di questo totale almeno il 70% deve essere investito in società che non sono inserite nell’indice FtseMib, le risorse che arriveranno alle mid e small cap saranno 2 miliardi quest’anno e circa 14 miliardi nei cinque anni, di cui 9,9 miliardi in azioni e 4,3 miliardi di euro in strumenti di debito.

I dati sono stati discussi lo scorso lunedì 15 maggio a Roma in un convegno a porte chiuse organizzato da Intermonte insieme con KT&Partners sul tema degli investmenti in mid e small cap. «È ovvio che non possiamo dire quante risorse di quelle stimate andranno poi a riversarsi su vere pmi quotate all’Aim Italia oppure su aziende non quotate», ha detto Gianluca Parenti, partner e responsabile clienti istituzionali domestici di Intermonte, «perché parlare di società escluse dal FtseMib significa parlare anche di società incluse nello Star, dove sappiamo che sono quotate anche grandi aziende. Ma lo Star è un indice che negli ultimi anni è cresciuto a ritmi esponenziali. Gli investitori, dunque, iniziano a guardare anche alle alternative». Non a caso negli ultimi mesi i volumi che sono stati attratti dalle azioni dello Star sono aumentati molto di più di quelli attratti riversatisi sull’Aim e sulle small cap. I dati di Borsa Italiana presentati nel corso del convegno da Barbara Lunghi, a capo dei Primary Markets del gruppo che gestisce i listini di Piazza Affari, indicano che i titoli dell’Aim hanno scambiato in media al giorno tra gennaio e aprile di quest’anno un controvalore più alto del 285% rispetto a quello medio giornaliero di tutto il 2016, mentre per l’Aim il balzo è stato del 94% e per lo Star del 73%.

«Avere più risorse a disposizione di questo tipo di società provocherà un costante incremento delle valutazioni e una contestuale riduzione del rischio di liquidità», ha fatto notare Kevin Tempestini fondatore di KT&Partners. «Inoltre valutazioni più elevate attrarranno più imprenditori verso la borsa, perché troveranno più vantaggioso il prezzo di quotazione proposto dagli advisor e quindi ci saranno più società in grado di finanziare operazioni di m&a anche carta contro carta, partendo da una posizione di forza». Insomma, ha concluso Tempestini, «ritengo che la differenza di valutazione, a parità di altre variabili, che oggi si vede ancora tra Star e Aim sia destinata a ridursi in maniera importante e che si possa innescare un circolo virtuoso di attrazione di altri investitori».

Il convegno di Roma è stato il settimo di una serie iniziata nel 2011 e i lavori negli ultimi anni sono serviti per tracciare la strada di una collaborazione stretta tra mercato e politica sino al varo della normativa sui Piani Industriali di Risparmio. «Nel 2014 abbiamo invitato a seguire i lavori Irene Tinagli, prima in politica con Mario Monti e ora deputata del Partito Democratico», ha spiegato ancora Parenti. «L’onorevole ha preso a cuore l’argomento e ci ha messo a disposizione una serie di contatti che nel giro di un anno hanno permesso a Intermonte e ad altri attori del mercato, come KT&Partners e Tamburi Investment Partners, di collaborare alla stesura di un progetto di legge che introduceva misure per sostenere la destinazione del risparmio privato all’investimento in pmi, di cui la prima firmataria è stata Silvia Fregolent, deputato Pd. Da quella proposta, presentata a dicembre 2015, il governo ha poi preso spunto per varare l’attuale normativa sui Pir».

Tutto bene quindi? Nì. Perché se i privati hanno già risposto in massa, sottoscrivendo da subito i Pir, i fondi pensione e le casse di previdenza sono invece rimasti alla finestra. Teoricamente infatti anche per loro sarebbe possibile investire direttamente sino al 5% del patrimonio nei medesimi asset nei quali investono i Pir ottenendo l’esenzione fiscale oppure sottoscrivere fondi (e quindi anche Pir) che investano in questi asset. Tuttavia nessuno al momento si è mosso anche perché inizialmente c’era un dubbio normativo da risolvere a proposito della possibilità di usufruire dell’esenzione fiscale per investimenti in debito.

Ma la sensazione è che fondi pensione e casse previdenziali investirebbero in questo tipo di asset solo se ci fossero dei prodotti Pir a loro specificamente dedicati. Non a caso lo stesso Fondo Italiano d’Investimento sgr è impegnato nel lancio di un fondo di fondi di private equity, venture capital e private debt specifico per convogliare i capitali previdenziali, pur essendo tecnicamente possibile per questi soggetti investire direttamente nei fondi già oggi gestiti dall’sgr. È per questo che nei giorni scorsi è stato segnalato tra gli emendamenti alla manovra anche quello del deputato di Forza Italia Sestino Giacomoni, vicepresidente della Commissione Finanze della Camera, che estende le agevolazioni fiscali previste per i Pir alle casse di previdenza e ai fondi pensione che sottoscrivano strumenti analoghi a loro dedicati, già battezzati come Piani Istituzionali di Risparmio. (riproduzione riservata)
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