di Andrea Di Biase
Con l’approvazione del bilancio al 30 giugno 2016 si completerà il piano triennale di Mediobanca , presentato dall’ad Alberto Nagel nel giugno del 2013 e sintetizzabile con lo slogan «più banca meno holding di partecipazioni». Ma già ora, alla luce dei conti dei nove mesi dell’esercizio 2015/16 di Piazzetta Cuccia e dei risultati dei due anni precedenti, è comunque possibile provare a fare un primo bilancio di questo triennio, e vedere se quel processo di trasformazione di Mediobanca voluto da Nagel si sia davvero compiuto, anche alla luce delle ultime mosse della banca d’affari sul fronte Generali e Rcs .
Proprio in occasione della presentazione del piano triennale l’ad di Piazzetta Cuccia aveva rotto il tabù relativo a una discesa della banca d’affari nel capitale del Leone, indicando come possibile la cessione di un pacchetto di circa il 3% delle Generali entro il giugno 2016.
Nel febbraio del 2015 Nagel era anche arrivato a ipotizzare un asset swap sul pacchetto azionario nella compagnia triestina. «In banca è cresciuta la convinzione», aveva spiegato Nagel, «che sarebbe interessante sostituire questa partecipazione con un asset o con attività bancarie. Potremmo esaminare operazioni di scambio della partecipazione con asset che siano coerenti con l’iter del nostro gruppo bancario». Il processo annunciato è partito nel dicembre 2015 quando Mediobanca ha venduto lo 0,22% della compagnia triestina sul mercato. A gennaio, però, lo scenario è cambiato e il titolo nel primo trimestre 2016 ha sofferto l’andamento della borsa e l’avvicendamento al vertice. Per questo, come annunciato dallo stesso Nagel nel corso della presentazione dei conti dei nove mesi, Mediobanca non si pone più alcun orizzonte temporale per scendere dall’attuale 13,2% al 10%, ma guarda soltanto al valore del titolo Generali . «Non abbiamo orizzonti temporali precisi», ha spiegato il banchiere. Il tema «è più legato al valore del titolo». Le azioni del Leone, dopo avere toccato un massimo a 18,73 euro nel marzo 2015, sono infatti tornate sui valori del giugno di tre anni fa. Mediobanca , dunque, preferisce aspettare una ripresa del corso del titolo, prima di procedere ad alleggerire la partecipazione. Anche perché, ha spiegato Nagel, «la nostra generazione di capitale è andata meglio del previsto. Abbiamo un buffer di capitale ancora più solido che ci consente di guardare la dismissione del 3% di Generali con più attenzione ai valori», stando «più sul tema del valore della vendita che sul tema del capitale del gruppo, il quale è più che sufficiente». Alla decisione di temporeggiare sul Leone si è aggiunta poi l’iniziativa a fianco di Andrea Bonomi, Diego Della Valle, Pirelli e UnipolSai sul fronte Rcs . La partecipazione nella casa editrice del Corriere della Sera, ridotta dal 14,93% al 6,2% nel corso dell’esercizio 2013/14 con un impatto positivo sui conti di 8 milioni, per il momento non sarà ceduta ma sarà conferita alla newco promossa da Investindustrial che lancerà l’opa su Via Rizzoli a 0,7 euro, concorrente all’ops promossa da Urbano Cairo con l’appoggio di Intesa Sanpaolo (anch’essa azionista di Rcs con il 4,18%). Sembrerebbe dunque che quel processo di progressiva riduzione dell’esposizione azionaria per liberare capitale a favore dell’attività bancaria si sia interrotto proprio sulle due partite storicamente più sensibili.
Eppure negli ultimi tre anni la road map tracciata da Nagel è stata in larghissima misura rispettata. Il business di Mediobanca è stato riposizionato seguendo le linee del piano strategico e, nonostante un contesto macroeconomico particolarmente difficile per le banche, il nuovo equilibrio tra le varie fonti di ricavo sembra aver dato i frutti attesi. Dopo il rosso di 177 milioni dell’esercizio al 30 giugno 2013, dovuto principalmente a svalutazioni del portafoglio titoli per 404 milioni (operazione propedeutica all’obiettivo, centrato, di ridurre l’esposizione azionaria di 1,5 miliardi nel triennio del piano), Mediobanca ha chiuso gli ultimi due anni con un utile in crescita: 468 milioni nel 2013/14 e 584 milioni nel 2014/15. A fronte di questi risultati sono stati distribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi 127 milioni il primo anno (27% degli utili) e 213 milioni il secondo (con il pay-out alzato al 36%). E anche il trend per l’esercizio in corso sembra essere incoraggiante. La banca ha infatti archiviato i nove mesi dell’esercizio 2015/16 con un risultato netto di 443 milioni (su cui ha pesato il contributo di 57 milioni al fondo di risoluzione) e punta a chiudere l’esercizio con risultati di soddisfazione per gli azionisti. «Dovremmo poter chiudere un anno altrettanto positivo come l’anno passato e a quel punto dovremmo puntare a un miglioramento del dividendo», ha spiegato Nagel, sottolineando che «la dimensione del miglioramento dipenderà dalla dimensione del progresso». Risultati che si sono riflessi anche sull’andamento del titolo in borsa, sia nel lungo sia nel breve periodo. Negli ultimi tre anni le azioni di Piazzetta Cuccia hanno messo a segno un progresso del 29% facendo meglio degli indici di settore in Italia e in Europa, mentre negli ultimi tre mesi le azioni Mediobanca hanno guadagnato il 10% in linea con le banche Ue ma meglio del comparto a Piazza Affari.
Sembra dunque che la ricetta Nagel, basata sull’uscita dalle attività ad alto assorbimento di capitale e sul ribilanciamento del contributo al conto economico delle varie aree di business, stia funzionando. Se al termine dell’esercizio 2013/14, il primo dei tre anni del piano, il contributo della divisione Principal investing (ovvero le partecipazioni stabili e in particolar modo quella nelle Generali ) era stato di circa il 67,5% sul risultato operativo del gruppo, i risultati dei nove mesi al 31 marzo 2016 mostrano invece un peso pressoché paritetico da parte delle tre aree di business (wholesale e private banking, consumer e retail banking e partecipazioni). In particolare la contribuzione del polo consumer/retail al risultato operativo è cresciuta da meno del 10% al 30 giugno 2014 al 34,5% al 31 marzo 2016. Questo, soprattutto grazie al traino di Compass (il credito al consumo è un business anticiclico), che ha garantito a Mediobanca un progresso nel margine di interesse dell’8% nei nove mesi a 906 milioni, equamente distribuito nei tre trimestri. Un fatto non comune in un momento in cui la marginalità di tutto il settore bancario è stata messa sotto pressione dai tassi bassi o nulli. Nei nove mesi la crescita del margine di interesse, sostenuta dalle attività consumer/retail, ha controbilanciato la flessione dei ricavi commissionali (-6,8% a livello di gruppo a 336 milioni), dovuta al minore contributo di equity capital market (da 87,5 a 52,8 milioni) e lending (da 61,1 a 40,4 milioni), ma cui hanno invece dato un contributo crescente l’M&A (da 23,1 a 46,2 milioni), il private banking (+5,9%) e soprattutto il retail banking, grazie all’espansione di CheBanca! nel risparmio gestito (a fine marzo le masse erano di 2,7 miliardi). Una crescita che nelle aspettative del management dovrebbe vedere un’accelerazione non appena diventerà operativa l’integrazione con il perimetro di Barclays Italia annunciata a dicembre (e che dovrebbe portare altri 2,1 miliardi di masse).
La crescita delle attività a basso assorbimento di capitale e alto contribuito commissionale, che era una delle linee guida del piano, ha portato alla decisione di acquisire il 51% del credit asset manager londinese Cairn Capital, attraverso cui Mediobanca punta a espandersi nel mercato italiano delle cartolarizzazioni di npl che potrebbe aprirsi a seguito delle garanzie messe a punto dal governo per smaltire lo stock di crediti in sofferenza delle banche italiane. A oggi il totale delle masse gestite del gruppo è di 40 miliardi circa e ben distribuito tra le diverse attività (private banking con Banca Esperia e Compagnie Monegasque de Banque, gestione fiduciaria con Spafid, risparmio gestito con CheBanca!, gestione di attivi creditizi con Cairn).
Insomma, al processo di dismissione di partecipazioni, che ha portato la banca a vendere negli ultimi due anni titoli azionari per 1,4 miliardi, è corrisposta quindi una riorganizzazione strategica delle attività bancarie che ha tolto volatilità ai risultati del gruppo e dato ai risultati della banca una profittabilità ricorrente e quindi più sostenibile nel tempo. Un processo che il management ha portato avanti parallelamente a una progressiva riduzione del costo del rischio e che ha dato buoni risultati visto che le attività deteriorate nette sono diminuite per il quarto trimestre consecutivo (-12% a 1,1 miliardi) e hanno un’incidenza sul patrimonio di vigilanza (CET 1) del 15% che se paragonata alla media delle banche europee (38%) e italiane (119%) pone Mediobanca tra le banche più virtuose del continente in termini di asset quality.
Per quanto riguarda invece ciò che resta del portafoglio partecipazioni, è vero che, come previsto dallo stesso piano, la quota nelle Generali (che sia del 13 o del 10%) rimane fondamentale nella strategia di Mediobanca , proprio nell’ottica di diversificazione e stabilizzazione del business. La partecipazione, contabilizzata con il metodo del patrimonio netto, consente alla banca d’affari di consolidare linea per linea e pro-quota il contributo del gruppo assicurativo. È dunque evidente che, pur in assenza di controllo sul Leone da parte di Piazzetta Cuccia, quest’ultima ha la necessità di avere voce in capitolo sulla gestione della compagnia, visto che i risultati delle Generali contribuiscono per circa un terzo al bilancio del gruppo. Proprio per questo motivo non sarebbe realistico pensare a una Mediobanca semplice investitore finanziario nelle Generali . Differente il caso di Rcs . La partecipazione nella casa editrice del Corriere della Sera ha un peso modesto sull’attivo di Mediobanca . La quota in Via Rizzoli ha un valore di carico di soli 15 milioni. La decisione di sposare l’iniziativa di Bonomi e al patto conseguente, anziché aderire all’ops di Cairo, ha dunque un impatto limitato sui conti della banca d’affari. Anche se per sostenere l’opa lanciata dalla newco Mediobanca potrebbe essere chiamata a sostenere un esborso massimo di a 27,4 milioni, cui potrebbe aggiungersi un ulteriore investimento nel caso in cui, una volta acquisito il controllo di Via Rizzoli, la società dovesse decidere di sottoscrivere per la sua quota nell’aumento di capitale da 150 milioni per sostenere gli investimenti del gruppo editoriale. (riproduzione riservata)
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