La malattia non sempre dovuta a insalubrità
di Lorenzo Allegrucci e Lucia Prete

Il datore di lavoro non è per forza responsabile della malattia del lavoratore derivante da causa di servizio. Secondo la Corte di cassazione infatti «la riconosciuta dipendenza delle malattie da una causa di servizio non implica necessariamente che gli eventi dannosi siano derivati dalle condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro, potendo essi dipendere piuttosto dalla qualità intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa e dal logoramento dell’organismo del dipendente esposto a un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo», non ricorrendo, quindi, la responsabilità del datore di lavoro (ordinanza n. 7840/2016).

Secondo i giudici di legittimità «la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro e, solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze, sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi».

In altri termini, la Cassazione precisa che non si tratta di un’ipotesi di responsabilità oggettiva per cui si configura una responsabilità del datore di lavoro ogni volta che si sia comunque verificato un danno, essendo, invece, necessario che l’evento sia riconducibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento previsti da fonte legale o suggeriti dalla tecnica.

La decisione della Suprema corte, ricorda comunque che il legislatore ha considerato prevalente la tutela dei lavoratori rispetto alle esigenze di funzionalità dell’impresa, e che pertanto il datore di lavoro deve preservare la loro integrità psico-fisica nell’ambiente e in costanza di lavoro.

Il lavoratore che sostiene di aver contratto una malattia o di aver comunque riportato un danno a causa dell’attività lavorativa svolta ha l’onere di provare sia la nocività dell’ambiente di lavoro che il nesso causale esistente tra queste circostanze.

Soltanto se il lavoratore abbia fornito la prova di tali presupposti grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver predisposto tutte le misure necessarie per impedire il verificarsi dell’evento lesivo. In altri termini sul datore di lavoro grava una obbligazione di mezzi e non di risultato.

L’ordinanza stabilisce che «in tema di danno alla salute del lavoratore, gli oneri probatori spettanti al datore di lavoro e al lavoratore sono diversamente modulati nel contenuto a seconda che le misure di sicurezza omesse siano espressamente e specificamente definite dalla legge (o da altra fonte ugualmente vincolante), in relazione a una valutazione preventiva di rischi specifici, oppure debbano essere ricavate dallo stesso art. 2087 cod. civ., che impone l’osservanza del generico obbligo di sicurezza».

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