di Paola Valentini
Sono davvero tante le famiglie che nel 2015 hanno investito nei fondi italiani contribuendo al buon andamento della raccolta (26,2 miliardi di euro). A fine 2015 i sottoscrittori sono saliti a 6,4 milioni, ovvero 300 mila in più rispetto ai 6,1 milioni del 2014, anno che a sua volta aveva attirato altri 500 mila investitori e si era chiuso con una raccolta di 32,2 miliardi.

Si conferma quindi anche nel 2015 la tendenza all’aumento del numero di risparmiatori che prende la via dei fondi. Dopo il minimo toccato nel 2012 (5,3 milioni) in parallelo con l’andamento negativo della raccolta netta, dall’anno successivo la ripresa dei flussi si è accompagnata a un incremento dei sottoscrittori (5,6 milioni nel 2013), il cui numero in tre anni è salito quindi di oltre 1 milione. Nonostante questo recupero il totale resta però ancora ben sotto i massimi del 2002-2003 (oltre 9 milioni). In parallelo, l’incidenza sul totale della popolazione italiana residente è passata dal 9% del 2012 al 10,5% del 2015, anche se il dato è ancora lontano dal picco del 17% del periodo 2002-2003.
I dati emergono dall’aggiornamento 2015 dell’indagine di Assogestioni «I sottoscrittori di fondi comuni italiani», firmata da Alessandro Rota e Riccardo Morassut. Lo studio si basa sulla banca dati sui sottoscrittori (Bds) che contiene informazioni anagrafiche e di portafoglio relative agli investitori individuali residenti in Italia che detengono quote di fondi aperti di diritto italiano.

Le informazioni oggetto dell’analisi di Assogestioni sono state raccolte con cadenza annuale a partire dal 2002, presso un campione rappresentativo di società di gestione operanti sul mercato nazionale. Dal quaderno dell’associazione presieduta da Tommaso Corcos risulta anche che il 10% dei soggetti sottoscrittori più ricchi detiene quasi la metà del patrimonio complessivo e la metà dei sottoscrittori investe più di 14.700 euro.
Sul fronte anagrafico, l’Italia registra un lento ma costante calo della proporzione degli uomini a favore delle donne che nel 2015 rappresentano quasi il 46% dei sottoscrittori. Mentre aumenta leggermente l’età media dei sottoscrittori che, a fine 2015, è di 59 anni, a fronte dei 51 anni nel 2002, a causa dell’aumento della quota degli investitori più anziani (oltre i 75 anni) salita al 18%. Ma, segnale importante, nel 2015 si registra un incremento della partecipazione anche tra le classi più giovani over 35. Il 6% degli individui di età compresa tra 26 e 35 anni investe in fondi, valore che sale al 10% (36-45 anni) e poi al 14% (46-55 anni) per attestarsi al 19% a partire dai 65 anni.

Analizzando la distribuzione geografica dei sottoscrittori, si conferma che il 65% risiede al Nord, il 18% nel Centro e il restante 17% nel Sud e nelle Isole. Nel corso del tempo, inoltre, l’incidenza dell’investimento nel comparto azionario e nei fondi bilanciati ha subito una progressiva erosione: a fine 2015, l’8 e il 4% dei sottoscrittori concentravano i propri investimenti su questi due segmenti. I fondi flessibili hanno registrato la dinamica di crescita più pronunciata e oggi rappresentano la scelta principale del 36% dei sottoscrittori, superando per la prima volta i fondi obbligazionari. Questi ultimi sono stati da sempre molto presenti nelle scelte degli investitori italiani, toccando punte superiori al 40% dei sottoscrittori. Le percentuali raggiunte negli ultimi anni dai fondi obbligazionari e flessibili sono collegate, spiega Assogestioni, al crescente successo riscosso dai fondi target date. Questi prodotti sono stati promossi ampiamente dalle società di gestione italiane che hanno per molto tempo puntato su questi fondi per intercettare il risparmio delle famiglie in uscita dai titoli di Stato che hanno perso appeal per via dei tassi sempre più bassi. I fondi target date, o a scadenza, sono simili nel funzionamento a un Btp perché prevedono infatti un orizzonte temporale predefinito, in genere quattro o cinque anni, durante il quale possono prevedere la distribuzione di una cedola periodica. Dal canto loro per le sgr questi prodotti hanno i vantaggi di una struttura di commissioni generosa e di stabilizzare la raccolta perché uscire prima non è vantaggioso per il sottoscrittore. Questi comparti presentano anche una finestra di collocamento durante la quale il sottoscrittore può effettuare l’investimento e poi il fondo viene chiuso a nuovi risparmiatori.

È legata quindi al successo dei fondi target date la netta prevalenza della modalità di investimento in unica soluzione preferita dal 70% delle famiglie. Tuttavia nel corso degli anni il numero di sottoscrittori che ha fatto ricorso in via esclusiva ai Piani di accumulo (Pac), ovvero all’investimento a rate, è cresciuto e rappresenta a fine 2015 il 18%, quasi il doppio rispetto al 9,2%del 2002. Una tendenza che potrebbe continuare: le sgr stanno infatti tornando a scommettere sui fondi tradizionali perché, per via dei tassi ai minimi, «è sempre più difficile offrire prodotti target date a condizioni interessanti», conferma Lea Zicchino, partner della società di consulenza Prometeia. Quanto al canale distributivo, la rete più utilizzata dai sottoscrittori di fondi italiani è quella bancaria (93% a fine 2015), mentre la rimanente proporzione si è affidata ai promotori finanziari. È una conseguenza della struttura dell’industria italiana del risparmio gestito caratterizzato dal forte peso delle banche nel capitale delle sgr, mentre sono poche le società di gestione indipendenti.

E proprio per effetto del processo di concentrazione che negli ultimi anni ha contraddistinto il settore bancario italiano anche il numero di società di gestione del risparmio è sceso passando dalle 38 del 2002 alle 22 del 2015, toccando un minimo nel 2012 (19). Nel corso di questi anni sono anche scomparse le strutture più piccole che non hanno retto l’impatto di costi crescenti e della concorrenza delle società di gestione estere che si sta facendo sempre più agguerrita in Italia. «In questo scenario l’industria dell’asset management assumerà un ruolo centrale e questo rappresenta un’opportunità ma anche una sfida nell’attuale contesto dei mercati finanziari che da un lato alimenta la domanda di sicurezza negli investimenti e dall’altro rende sempre più complesso per gli intermediari strutturare proposte commerciali per la clientela retail soprattutto quella bancaria più tradizionale che sta uscendo da investimenti in titoli pubblici e bancari», sottolinea Zicchino.

L’introduzione del bail-in, che di fatto sta facendo scoprire ai risparmiatori nuovi rischi e le vicenda legate alle obbligazioni bancarie subordinate dei quattro istituti locali andati in crisi lo scorso anno, sono tutti elementi che rendono i risparmiatori più cauti. A tal proposito, dalla relazione Consob sul 2015 pubblicata nei giorni scorsi, emerge proprio che il 90% circa delle famiglie italiane dichiara di essere disposto a investire a condizione che siano garantiti la protezione del capitale e/o un rendimento minimo: il dato è in netta crescita rispetto a quanto registrato nel 2014 (70%). «È pertanto un momento molto delicato per l’industria italiana dell’asset management che dovrà consolidare il proprio ruolo nella gestione del risparmio delle famiglie e supportare le reti distributive nell’individuazione delle soluzioni più adeguate per gestire la fase attuale, molto più incerta, dei mercati finanziari», avverte Zicchino.

E, a differenza del passato, oggi le famiglie si dirigono verso strumenti con un profilo rischio rendimento più favorevole, «a conferma di un ruolo importante della consulenza alla clientela retail e istituzionale nell’orientare la domanda verso i prodotti di migliore qualità», conclude Zicchino. (riproduzione riservata)
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