di Luca Gualtieri

Quasi 8 miliardi di euro. È questo il conto che negli ultimi quattro anni le assemblee delle principali società italiane hanno presentato ai propri ex amministratori per vicende di mala gestio provata o presunta. Anche se è vecchio quanto il codice civile e ha un precedente di rilievo nello scandalo Banco di Napoli, lo strumento dell’azione di responsabilità sociale non è mai stato così popolare come oggi e la recente moral suasion del premier Matteo Renzi («Mi piacerebbe anche qualche azione di responsabilità in qualche altra banca oltre a Etruria») non è certamente una voce isolata.

Quando nel marzo scorso i soci della Banca Popolare di Vicenza hanno bocciato la resa dei conti verso gli ex vertici, il dibattito è entrato nel vivo anche nel mondo politico, come del resto dimostra la netta presa di posizione del presidente del Consiglio. Eppure, numeri alla mano, oggi è difficile dimostrare la convenienza economica di un’azione di responsabilità. Dopo i roboanti annunci iniziali, i procedimenti si impantanano spesso nelle sabbie mobili della giustizia o sono messi da parte a favore di transazioni dall’importo più modesto, ma dalla tempistica decisamente più certa. E questo perché, al di là del valore simbolico e del forte appeal mediatico, sull’esito di un’azione di responsabilità pendono oggi ancora troppe incognite.
La prima è ovviamente la spada di Damocle della prescrizione, che scatta cinque anni dopo il presunto danno.

Per sospenderla serve una messa in mora che valga come atto interruttivo, anche se lo strumento più efficace resta la citazione davanti al tribunale per la richiesta di danni.
La durata del procedimento dipende dalle risorse del foro competente, anche se è quasi impossibile arrivare a sentenza prima di tre anni. In casi meno fortunati il giudice può pronunciarsi fino a sei o sette anni dopo la citazione, quando con ogni probabilità vertici e azionariato della società interessata saranno profondamente mutati.

Ma il vero rischio di fondo per i gruppi che scelgano di intraprendere un’azione di responsabilità è un altro. «C’è un problema di capienza del patrimonio degli ex amministratori che possono decidere di spogliarsi dei propri beni prima della sentenza del Tribunale», spiega a MF-Milano Finanza l’avvocato Massimo Cerniglia, docente ed esperto di diritto bancario e finanziario.

La società rischia insomma di restare a bocca asciutta, a meno che qualche procura non compia un sequestro conservativo che congeli i beni finanziari degli ex amministratori. «Lo scenario è probabile anche perché, per quanto riguarda gli scandali bancari, l’ipotesi di reato di ostacolo alla vigilanza è facilmente riscontrabile e dunque permette l’apertura di un procedimento penale», continua Cerniglia.
Sta di fatto che molte delle azioni di responsabilità presentate negli ultimi anni devono ancora arrivare a giudizio. È in corso ad esempio la procedura avviata nel 2013 da Fondiaria-Sai e Milano Assicurazioni (oggi confluite in UnipolSai) contro la famiglia Ligresti e gli ex amministratori per danni complessivi da circa 280 milioni. Stesso discorso vale per l’azione intrapresa da Generali davanti al giudice del lavoro contro l’ex amministratore delegato Giovanni Perissinotto e l’ex direttore generale Raffaele Agrusti per un danno stimato di circa 60 milioni. Una delle poche eccezioni riguarda invece Banca Monte dei Paschi che nell’aprile del 2013 si era mossa contro gli ex amministratori Giuseppe Mussari, ex presidente, e Antonio Vigni, ex direttore generale, per le operazioni finanziarie note come Alexandria e Santorini. Nell’ambito della vertenza (per la quale si era ipotizzato un danno di circa 730 milioni), solo nel marzo scorso c’è stata la prima sentenza con la condanna di Vigni a un risarcimento di 245 milioni. L’azione di responsabilità era stata mossa inizialmente anche contro Deutsche Bank , poi uscita dal processo per una transazione con la stessa Mps . Un caso tutt’altro che isolato visto che molte altre società hanno preferito transare subito piuttosto che attendere l’incerto esito di un’azione di responsabilità. È stata questa ad esempio la scelta del Banco Popolare che nel 2010 ha raggiunto un accordo da 50 milioni con l’ex numero uno della Popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani. Anche Seat Pagine Gialle si è accontentata dei 30 milioni offerti dagli ex amministratori e dai fondi di private equity della passata gestione, lasciando cadere una richiesta di danni da 2,4 miliardi. Scelte di buon senso che garantiscono alle società un incasso certo a fronte di un’alternativa dall’esito alquanto dubbio.

Il boom delle azioni di responsabilità, comunque, si è registrato soprattutto in questa prima metà del 2016, quando numerose banche di medie dimensioni hanno deciso di avviare una resa dei conti. Se le popolari di Spoleto e Cividale hanno scelto di muoversi in autonomia, per le quattro good bank (Banca Marche, Carife, Carichieti e Banca Etruria ) si sono attivati i nuovi vertici espressione del fondo di risoluzione. Nel Nord Est poi c’è grande attesa per le mosse della Popolare di Vicenza (ormai controllata interamente dal fondo Atlante) e di Veneto Banca (reduce da un recentissimo ribaltone assembleare), mentre nelle prossime settimane la Cassa di Risparmio di Bolzano (Sparkasse) dovrà decidere che linea tenere nei confronti degli ex vertici. (riproduzione riservata)
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