Massimiliano Di Pace

Roma Tra diminuzione degli incidenti e incremento dei rapporti diretti tra compagnie assicurative e carrozzieri, si riduce il business dei periti assicurativi. La professione nacque come consulenza per avvocati e giudici, chiamati a dirimere le cause per i risarcimenti richiesti dagli automobilisti danneggiati nei confronti di quelli che avevano procurato l’incidente. A seguito dell’introduzione, con la legge 990 del 1969, dell’obbligatorietà dell’assicurazione per la responsabilità civile delle automobili (Rca), ci fu un vero boom delle perizie per incidenti: «In quegli anni – spiega Marco Mambretti, presidente di Aicis (Associazione italiana consulenti infortunistica stradale) – i periti entrarono nell’orbita delle società di assicurazione, con l’incarico di quantificare i danni subiti dalle automobili, e ad essi si aggiunsero molti ‘dopolavoristi’, come i vigili, esperti del codice della strada, gli stessi autoriparatori». L’importanza dei periti assicurativi crebbe in parallelo con la motorizzazione del Paese, tanto che nel 1992 si pervenne alla regolamentazione di questa figura professionale. La regolamentazione della professione riguardò anche le tariffe, senza che assumessero però valore legale. «In ogni caso, dal 1992 – ricorda il Presidente di Aicis – vi fu un duplice sistema tariffario: uno per gli incarichi dei privati (automobilisti, avvocati), e un altro per la remunerazione dell’attività svolta per
le compagnie assicurative, frutto quest’ultimo di un negoziato con l’Ania». In parallelo con la regolamentazione della professione, emerse un primo problema per i periti assicurativi: l’accordo tra Ania e il mondo dell’artigianato, rappresentativo degli autoriparatori (carrozzieri e meccanici). «Quell’accordo – continua Mambretti – prevedeva una quantificazione precisa sia del costo dei ricambi, sia del lavoro necessario per le riparazioni, con il risultato che il perito si limitava a identificare i danni degli incidenti automobilistici, visto che per la quantificazione economica bisognava necessariamente utilizzare i parametri dell’accordo». Questo ‘ridimensionamento professionale’ continuò fino al 2002, quando l’Antitrust dichiarò contrario alle regole della concorrenza l’accordo tra Ania e autoriparatori, così come il sistema delle tariffe dei periti. Pertanto, se da una parte il perito assicurativo riprese il compito di quantificare anche il valore economico dei danni alle auto, dall’altra, la pressione competitiva fece sì che, in assenza di un sistema tariffario di fatto obbligatorio, i compensi dei periti si riducessero rispetto a quelli vigenti nel sistema precedente. Con la disdetta dell’accordo, per effetto della sentenza dell’Antitrust, le compagnie trovarono utile stabilire convenzioni con i carrozzieri, con il risultato di procedere ulteriormente in quel lento processo che sta portando alla marginalizzazione della figura del perito. Infatti, se nei primi tempi il perito, in contradditorio con l’autoriparatore, quantificava il danno economico subìto dall’automobile a causa dell’incidente, oggi alcune compagnie assicurative rendono di fatto obbligatorio per l’assicurato il ricorso al carrozziere convenzionato, evitando così, per motivi di risparmio, la stima del perito. Con la riforma del settore assicurativo, operata dal decreto legislativo 209/2005, è stato poi previsto, in caso di incidenti che coinvolgano solo due vetture, il risarcimento diretto da parte dell’assicurazione dell’automobilista danneggiato, circostanza che ha ancora di più favorito il ricorso ai carrozzieri convenzionati. «Ad aggravare la situazione – ammette il Presidente di Aicis – si è aggiunta inoltre una prassi di mercato, secondo la quale le compagnie incentivano i periti a ridurre il costo medio dei danni, o il costo complessivo dei sinistri liquidati ». In questo contesto si innesta poi il trend (certamente positivo per la collettività) di riduzione del numero di incidenti, tanto che si è passati dai 14 ogni 100 vetture degli anni 90, a 6. In altre parole, dai 6,5 milioni di incidenti all’anno si è arrivati ai 2,2 milioni attuali. Insomma, per gli 8.500 periti assicurativi è sempre più difficile svolgere il proprio lavoro. Quindi cosa fare? «Lo sviluppo della professione passa per nuove attività – dichiara Mambretti – come il controllo dell’esecuzione delle riparazioni, e la verifica della funzionalità dei sistemi di sicurezza, in particolare delle nuove tipologie di auto, come le ibride, le elettriche, circostanza che richiede però l’acquisizione di nuove professionalità, utili sia alle assicurazioni, sia alla società civile».
Fonte:aflogo_mini