di Renzo La Costa

Una qualsiasi prestazione lavorativa, al nero o resa a titolo amichevole, presuppone l’osservanza delle misure di sicurezza sul lavoro. È la volta, da ultimo, della sentenza della Corte di cassazione 2 maggio 2016, n. 18208. Il titolare di un’officina ricorreva avverso la sentenza che, riformando quella di primo grado, lo aveva riconosciuto corresponsabile del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno altra persona. L’imputato, nella qualità di titolare di un’impresa esercente la attività di lavorazione in ferro, era stato chiamato a rispondere della morte di un lavoratore che, mentre era impegnato a eseguire lavori di montaggio di una ringhiera in ferro ad un balcone esterno di un fabbricato in costruzione, era precipitato al suolo dall’alto, riportando lesioni mortali. L’addebito di colpa era stato ravvisato nell’avere l’imputato omesso le adeguate misure precauzionali atte a prevenire le cadute dall’alto: in assenza di impalcati di protezione o parapetti, adeguata cintura di sicurezza. Sostenevano tra l’altro i giudici d’appello che nessun rilievo per escludere la responsabilità poteva farsi discendere dalla mancanza di un formale rapporto lavorativo tra vittima e imputato (la collaborazione della vittima era basata su un rapporto amicale), perché tale circostanza non escludeva l’obbligo del rispetto della normativa cautelare. Con il ricorso per Cassazione si invocava il proscioglimento pieno, sostenendosi una diversa ricostruzione dell’incidente, e riproponendosi la tesi della collaborazione amicale che escluderebbe l’applicabilità della normativa prevenzionale. Infondata, a giudizio della Suprema corte, è da ritenersi la doglianza basata sull’assenza di formale rapporto di lavoro, ove si consideri che le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori (e solo i lavoratori) possano subire danni nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate finanche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono nei cantieri o comunque in luoghi ove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Le disposizioni prevenzionali, infatti, sono da considerare emanate nell’interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell’impresa: non è dubbia quindi l’applicabilità nel caso di interesse, laddove è pacifica l’attività comunque prestata dalla vittima in favore dell’imputato, quale che ne sia stata la «causale» (amicizia o altro). Respinto il ricorso con conferma della condanna.
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