L’appuntamento è per martedì 10 maggio, quando il gruppo Poste Italiane presenterà al mercato i conti del primo trimestre 2016. Le previsioni sono di crescita, a dimostrazione che anche il secondo anno di attuazione del piano industriale 2015-2019, presentato lo scorso ottobre dall’amministratore delegato Francesco Caio in occasione dello sbarco del gruppo a Piazza Affari tramite la maggiore ipo europea, sembra avviato nella direzione giusta.

La svolta era già stata evidente nel 2015, chiuso con un risultato operativo di 880 milioni (+27%) e un utile netto di 552 milioni di euro (+160%, grazie anche al minor carico fiscale). E la tendenza sembra proseguire: per il primo trimestre di quest’anno gli analisti infatti prevedono per Poste Italiane 9,13 miliardi di ricavi, che rappresenterebbero una crescita di oltre il 6% rispetto agli 8,5 miliardi registrati nel corso dello stesso periodo del 2015, con un risultato operativo di 503 milioni (da 485) e un utile netto di 321 milioni, in aumento rispetto ai 311 milioni di un anno prima. Se martedì 10 questi numeri venissero sostanzialmente confermati, si tratterebbe di una buona pagella per Poste Italiane , in vista anche di una possibile seconda tranche di privatizzazione, più volte ventilata dal ministero dell’Economia, che dal collocamento sul mercato del primo 35% del capitale ha incassato 3,5 miliardi di euro.
Lo sviluppo del gruppo nel primo trimestre è stato sostenuto soprattutto dalla raccolta assicurativa, scommettono gli esperti, dove Poste Vita ha raggiunto una posizione di leader.

Non solo; anche i servizi finanziari, sempre secondo le previsioni degli analisti, sono attesi in crescita. In particolare grazie alle carte prepagate PostePay, il cui numero è arrivato a 14,5 milioni, e alla nuova Poste Pay Evolution, che a febbraio scorso ha raggiunto quota 2 milioni di carte. Mentre il risparmio postale, ovvero libretti e buoni distribuiti per conto della Cassa Depositi e Prestiti, è atteso stazionario ed è stato messo in conto pure un lieve declino delle commissioni bancarie. Proprio nel settore del risparmio, come ha spiegato Caio nel corso dell’audizione in commissione Trasporti della Camera il 4 maggio sono in atto le trasformazioni più profonde, dettate dal contesto finanziario. I tassi d’interesse prossimi allo zero stanno infatti obbligando le Poste a rivedere il rapporto con le famiglie italiane, per conto delle quali il gruppo amministra ben 476 miliardi di euro, oggi tramite soprattutto polizze Vita tradizionali, libretti, buoni postali e conti correnti. «In presenza di tassi d’interesse come quelli attuali i buoni del Tesoro e i buoni postali hanno una prospettiva di rendimento dello zero virgola», ha spiegato Caio. «Dobbiamo quindi necessariamente attrezzarci di fronte a clienti che ci chiedono quali siano gli strumenti che possono dare prospettive di ritorno» più interessanti. Già nel 2015 la raccolta netta dei libretti è calata del 40% a 4,1 miliardi e quella dei buoni postali è risultata addirittura negativa per 8,3 miliardi di euro. E tale contrazione appare destinata a proseguire, pertanto le Poste dovranno necessariamente accompagnare le famiglie verso un nuovo territorio, in cui il ritorno si può generare solo in un «contesto di qualche rischio», ha detto il numero uno del gruppo, aggiungendo di essere «molto consapevole di quanto sia delicato questo passaggio», che sarà graduale ma comunque ineluttabile. I primi passi sono già stati compiuti. A inizio anno, per esempio, è partita la distribuzione dei fondi Anima (di cui Poste ha rilevato il 10% per 210 milioni) ed è stata avviata la compilazione dei questionari Mifid (sull’adeguatezza degli investimenti) per rendere le stesse famiglie più consapevoli dei propri profili di rischio e delle opportunità di allocazione dei propri risparmi.
Ma c’è anche un altro comparto dove le Poste hanno avviato una grande rivoluzione, non senza oppositori. È quello della riforma del servizio universale, che ha comportato la reintroduzione della posta ordinaria (che prevede la consegna entro quattro giorni) e la possibilità di estendere la consegna a giorni alterni da un ottavo a un quarto del territorio nazionale. Queste modifiche si giustificano con la necessità di ridurre le spese del gruppo Poste alla luce del minor contributo garantito dallo Stato (sceso da 340 a 262 milioni) e dell’inevitabile declino dei volumi nel segmento del recapito. Per il primo trimestre di quest’anno, infatti, gli analisti prevedono un ulteriore contrazione di ricavi e volumi, ma l’obiettivo del pareggio per il recapito resta confermato a fine piano, ha ribadito Caio di recente. «Non possono esserci le Poste senza posta», ha dichiarato, ricordando che la seconda fase di consegna a giorni alterni è partita ad aprile, dopo una sperimentazione che dallo scorso ottobre aveva coinvolto 256 comuni. Proprio un gruppetto di questi comuni, insieme all’Anci Piemonte, ha deciso di fare ricorso al Tar contro la consegna a giorni alterni e i giudici amministrativi, pur riconoscendo la legittimità delle Poste ad attuare la manovra (in quanto segue le disposizioni dell’Agcom e la legge di Stabilità 2015), hanno preferito rimandare la palla alla Corte di Giustizia Europea per verificare che le norme italiane non contrastino con quelle Ue. Questa decisione inevitabilmente impegnerà le Poste in un nuovo confronto destinato a durare mesi, anche se appare improbabile che la comunità europea smentirà se stessa, visto che la riforma italiana era già stata a lungo discussa per arrivare a una condivisione con Bruxelles.

Intanto un altro tassello sembra prossimo alla sistemazione. È quello delle tariffe agevolate per l’editoria, che dal 2010 non prevedono più una compensazione dello Stato e che per le Poste avrebbero comportato una perdita di 200 milioni di euro l’anno. Il tavolo di discussione avviato con gli editori e con l’Agcom per ritoccare le tariffe sembra a buon punto. Per evitare che i quotidiani vengano colpiti dalla consegna a giorni alterni le Poste hanno proposto l’avvio di un servizio integrativo a pagamento su circa il 65% delle copie nelle aree a giorni alterni, che potrebbe ricevere il via libera da parte delle autorità ed editori. Mentre sul 35% restante si sta ragionando sulla promozione della conversione delle copie cartacee in digitale utilizzando i proventi delle aste di frequenza, come previsto del resto dalla legge di Stabilità 2016; allo scopo le risorse a disposizione degli editori ammonterebbero a una decina di milioni di euro. (riproduzione riservata)
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