Ivass risponde alle critiche di alcuni organi di informazione riguardo la condotta del’Istituto di vigilanza sugli investimenti delle compagnie assicurative nel Fondo Atlante.

L’Ivass precisa che è la nuova normativa europea (non quella dell’IVASS) che consente alle imprese di assicurazione di scegliere liberamente i propri investimenti (art. 133 della Direttiva Solvency2 – libertà di investimento), anche a copertura delle riserve tecniche. La stessa normativa europea chiede però alle compagnie di mantenere un requisito di capitale commisurato al rischio dell’investimento. Maggiore è il rischio, maggiore è la copertura di capitale richiesta. Il calcolo dei requisiti di capitale è complesso e viene controllato dalle autorità di vigilanza, dall’IVASS in Italia.

La generica preoccupazione da taluni avanzata che le compagnie inseriscano le quote del Fondo Atlante eventualmente acquistate nei “fondi vita”, così esponendo gli assicurati al relativo rischio, non è corretta. Fra i prodotti assicurativi “vita” occorre fare una fondamentale distinzione, fra quelli il cui rischio è a carico dell’assicurato (unit/index linked) e quelli in cui il cui rischio è a carico dell’impresa (prodotti tradizionali).

Gli investimenti nelle quote del fondo Atlante, al pari di altri investimenti con caratteristiche simili, non possono entrare nei prodotti con rischio a carico dell’assicurato (unit/index linked), perché così è stato stabilito dalla Circolare 474/2002 e dal Regolamento 32/2009 dell’IVASS (all’epoca ISVAP).

Invece, per le polizze con rischio a carico dell’impresa (quelle definite tradizionali), l’investimento in quote del fondo Atlante, per il principio europeo della libertà di investimento di cui si diceva prima, è considerato alla stregua di tutti gli altri investimenti che normalmente fa una compagnia assicurativa. Se l’investimento dovesse dare un rendimento inferiore al previsto, l’assicurato si vedrà comunque riconoscere il minimo garantito previsto dalla polizza.