Pagina a cura di Antonio Ciccia Messina

Tra conviventi meglio stipulare un contratto. Non è obbligatorio, ma aiuta a non creare equivoci su diritti e doveri patrimoniali. Il contratto di convivenza esplicita, chiarisce e precisa quel generico obbligo di assistenza materiale, che è il nucleo del rapporto di convivenza.

Non può esserci convivenza se non c’è una coppia di persone che si vuole bene e che offrono e danno assistenza morale e materiale. Poi l’assistenza materiale può svilupparsi in molti modi. Uno di questi prevede che si stenda un documento ufficiale, in cui si dettagliano, clausola per clausola, diritti e doveri di natura economica. La legge dice che i conviventi di fatto possono (non «devono») disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza.

Il contratto è un documento importante e si devono seguire alcune formalità burocratiche. Bisogna passare da un notaio o da un avvocato. Si deve andare necessariamente da un notaio se si trasferiscono diritti immobiliari.

I professionisti legali dichiarano, in calce all’atto pubblico o alla scrittura privata autenticata, che gli accordi presi sono conformi alle norme imperative e all’ordine pubblico.

Se non si mette nero su bianco, l’atto è nullo.

Il contratto produce effetti anche nei confronti dei terzi che hanno rapporti contrattuali con i conviventi. È per questo che il contratto deve essere conoscibile . Lo strumento per garantire la conoscibilità e quindi l’iscrizione all’anagrafe, cui deve essere trasmesso dal notaio o dall’avvocato.

Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti e le clausole del contratto di applicano come se le clausole non siano state apposte.

Nel contratto si indica la residenza, l’eventuale regime di comunione legale scelto dalle parti e le condizioni della contribuzione alla vita in comune.

Bisogna scrivere, ad esempio, chi paga il mutuo, chi paga le bollette, come si dividono le spese di ristrutturazione, se si apre un conto in comune e come ci si regola se la coppia si lascia.

Più è preciso l’atto, meno strascichi giudiziari ci sono alla cessazione della convivenza.

Se le parti non prevedono clausole espresse, comunque la legge prevede una tutela minia: in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice, su richiesta dell’interessato, stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata dal codice civile. L’obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle.

Per le convivenze, infatti, non è prevista una disciplina di scioglimento come il divorzio e tutto è demandato al contratto. A questo proposito la legge prevede che il contratto di convivenza si scioglie in quattro casi: 1) accordo delle parti; 2) recesso unilaterale; 3)matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e altra persona; 4) morte di uno dei contraenti.

Se il contratto di convivenza si scioglie per accordo delle parti o per recesso unilaterale di uno solo dei conviventi, bisogna fare un atto dal notaio o dall’avvocato. E se il contratto di convivenza prevede il regime patrimoniale della comunione dei beni, il suo scioglimento provoca lo scioglimento della comunione.

Si ricordi che bisogna comunque passare dal notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza.

Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il professionista che riceve o che autentica l’atto è tenuto a notificarne copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva di chi se ne va, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione.

Nel caso di scioglimento per matrimonio o unione civile, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all’altro contraente, e anche al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l’estratto di matrimonio o di unione civile.

Nel caso di morte, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l’estratto dell’atto di morte affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza.

La legge Cirinnà disciplina aspetti di diritto internazionale privato, specificando che ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti.

Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata.

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