Il numero uno di Via Nazionale: la discussione con l’Ue sia rapida, occorre saper distinguere le distorsioni della concorrenza dalle politiche per superare i fallimenti del mercato. No a regole miopi. Anche nella vigilanza bancaria

di Francesco Ninfole

Su bad bank e regole bancarie l’Europa deve abbandonare politiche miopi, che si limitano al puntiglioso rispetto di regole formali, e non considerano invece gli effetti sostanziali per l’economia e il sistema finanziario. È questo uno dei messaggi principali lanciati ieri dal governatore Ignazio Visco, nel giorno della relazione annuale di Banca d’Italia.

Il banchiere centrale ha fatto dichiarazioni di principio, con toni paludati, ma i riferimenti sono concreti. In primis c’è il tema dell’intervento pubblico per lo smobilizzo delle sofferenze bancarie (la cosiddetta «bad bank»). Sullo sfondo c’è inoltre la questione delle regole di vigilanza per gli istituti.

La materia che oggi ha la priorità è il credito deteriorato, perché il problema dell’eccesso di sofferenze nei bilanci delle banche è quello che incide di più sul credito. I prestiti continuano a scendere, anche se a tassi più bassi di quelli registrati in passato. Una soluzione per favorire i prestiti è stata da tempo individuata da Tesoro e Bankitalia: un veicolo potrebbe rilevare una parte delle sofferenze (circa 100 miliardi di prestiti a imprese, secondo recenti ipotesi di Via Nazionale), creando un mercato più efficiente delle sofferenze e liberando spazio per nuovi finanziamenti, soprattutto alle pmi. «Lo sviluppo di un mercato secondario dei crediti deteriorati, oggi pressoché inesistente, contribuirebbe a riattivare appieno il finanziamento di famiglie e imprese», ha sottolineato Visco. «È in corso sul tema una discussione con le autorità europee, che auspichiamo sia rapida e costruttiva».

Il confronto con gli organi Ue va avanti da mesi, ma senza risultati tangibili.

Bruxelles teme l’esistenza di aiuti di Stato a vantaggio degli istituti. L’Italia ritiene invece la misura necessaria non per salvare le banche, ma per sostenere il credito e la crescita del Paese. Peraltro la necessità di interventi sulle sofferenze è stata evidenziata dalla stessa Commissione nelle recenti raccomandazioni al Paese. «Se non si affronta in maniera chiara il problema dell’efficacia e dell’efficienza del sistema bancario l’economia ne soffrirà», ha ripetuto ieri Marco Buti, dg della direzione Affari economici della Commissione Ue. Ieri Visco ha sottolineato che «nella Commissione convivono un’anima tecnica, custode delle regole comuni, e l’embrione di un governo politicamente responsabile», di conseguenza «va trovata una sintesi nell’interesse del corretto funzionamento del mercato interno e dell’economia europea». Nei giorni scorsi anche il ministro Pier Carlo Padoan aveva sottolineato che «a fronte di un atteggiamento politico molto positivo, l’atteggiamento tecnico della Commissione è assolutamente negativo».

Un’eccessiva attenzione agli aspetti tecnici rischia per il governatore di essere controproducente: l’Europa dovrebbe invece saper distinguere meglio «comportamenti scorretti e azioni predatorie» da «fallimenti del mercato». Quest’ultima espressione è stata usata più volte dai vertici di Bankitalia per indicare l’attuale situazione del mercato delle sofferenze: per i non performing loan è difficile definire prezzi a cui le banche sono disposte a vendere, e i fondi sono disposti a comprare: è la conseguenza anche dei lenti tempi di recupero dei crediti deteriorati. Novità su questo fronte, così come in materia di deducibilità fiscale delle perdite su credito, non sono un aiuto alle banche, ma al contrario la rimozione di «svantaggi competitivi», secondo il governatore.

In definitiva, l’intervento del settore pubblico per Visco non va escluso a priori: piuttosto «vanno approfondite le ragioni che differenziano politiche per attivare i meccanismi di mercato» da «aiuti di Stato distorsivi della concorrenza». L’Italia è finita sotto la lente dell’antitrust Ue anche per le imposte differite attive (Dta) generate a causa della deducibilità delle perdite in cinque anni. Sulla bad bank il sistema italiano si è mosso in ritardo rispetto ad altri Paesi che si sono trovati in una situazione peggiore durante la crisi: Spagna, Irlanda, Regno Unito e Germania hanno varato ingenti salvataggi pubblici per le banche (per 250 miliardi solo in Germania). Dopo le ampie concessioni del passato, ora l’Ue chiede un’applicazione rigorosa delle nuove norme sugli aiuti di Stato, nel frattempo divenute molto più rigide. Il paradosso è che le regole più vincolanti sono ora applicate al Paese che meno di ogni altro ha usufruito del sostegno pubblico. Peraltro non è affatto scontato che gli aiuti di una «bad bank» (che sarebbe diversa da quelle viste in passato in Europa) si traducano in una perdita per lo Stato, che anzi potrebbe guadagnare, come già accaduto con i Monti e Tremonti bond per Mps . «Nel dibattito tra Paesi, talvolta difficile e teso, si fa meglio ascoltare chi dimostra di far bene a casa propria», ha ricordato il governatore, con implicito riferimento all’apprezzamento di Bruxelles per il cammino intrapreso dall’Italia sulle riforme. Proprio Visco aveva auspicato misure di sistema sulle sofferenze nel Forex di due anni fa. Ieri il messaggio è stato molto più forte, anche a causa del tempo che nel frattempo si è perso. Il governatore ha riservato le due pagine conclusive della relazione al tema del ruolo pubblico sui fallimenti di mercato.

Un altro ambito di confronto con l’Europa riguarda la vigilanza bancaria. In questi giorni si stanno definendo i criteri con cui saranno fissati gli obiettivi di capitale delle banche. «L’esigenza primaria di garantire la solidità delle singole istituzioni andrà soddisfatta senza attenuare, in questa fase di ancora incerta ripresa, la capacità di erogare credito all’economia», ha assicurato Visco ai banchieri, che temono l’incertezza nei prossimi anni legata alle procedure Bce sui requisiti specifici per le banche (il cosiddetto Srep, che quest’anno si è limitato a considerare i risultati di stress test e Aqr). Inoltre in Bce si sta lavorando sull’omogeneità dei modelli interni degli istituti, validi ai fini patrimoniali. Dall’estero è forte la pressione dei regolatori a guardare con particolare attenzione i rischi di credito e dei titoli di Stato, chiudendo un occhio sugli eccessi della finanza speculativa e su derivati e titoli illiquidi (sulla materia si veda anche il numero settimanale di Milano Finanza in edicola). Il governatore ha ribadito ieri la necessità di «un bilanciamento tra regole e discrezionalità: non arbitrio, ma neanche applicazione acritica e miope delle regole». Nella vigilanza, in particolare, occorre «la ricerca di un equilibrio, che non vuol dire lassismo, tra interventi microprudenziali sui singoli soggetti vigilati e compatibilità macroprudenziali, riferite alla stabilità complessiva del sistema finanziario».

Senza un’adeguata calibratura delle norme sarà inevitabile l’impatto sull’economia, come ha sottolineato ieri Gian Maria Gros-Pietro, presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo: «Non può sfuggire, alle istituzioni politiche e tecniche europee, che tutto ha un prezzo: chiedere continui aumenti di patrimonio per rafforzare la solidità delle banche può ottenere alla lunga l’effetto paradossale di contrastare la crescita economica e la stessa stabilità finanziaria, dirottando risorse verso canali finanziari non regolati o meno trasparenti». Visco è consapevole del problema: per effetto delle nuove regole «l’erogazione di prestiti diverrà più selettiva», ha osservato. Nel futuro il ruolo delle banche dovrà essere compensato dall’Unione dei mercati dei capitali, anche se il problema resta nella fase di transizione verso il nuovo modello finanziario. Le banche dovranno fare la loro parte, riducendo costi, anche attraverso le possibili fusioni innescate dalla riforma delle popolari: «I benefici potenziali sono cospicui ma non scontati», ha osservato Visco, che ha invitato le bcc a «non procrastinare il cambiamento».

Infine sulla politica monetaria della Bce, Visco ha respinto la posizione di chi in Europa vuole chiudere il Qe il prima possibile per gli eccessivi pericoli del programma: «Saremmo andati incontro a rischi molto maggiori se non avessimo avviato gli acquisti di titoli», ha rilevato. (riproduzione riservata)