Dopo l’operazione con Aviva dello scorso anno, la razionalizzazione potrebbe interessare Pop Commercio e Industria, Bre e le altre banche rete e liberare capitale in vista dell’aggregazione

di Luca Gualtieri

La conferma l’ha data la voce più autorevole di Ubi Banca, cioè il consigliere delegato Victor Massiah che durante la conference call di mercoledì 13, si è espresso con telegrafica chiarezza: «Ci stiamo lavorando». L’istituto lombardo, considerato la punta di diamante del sistema delle popolari, potrebbe razionalizzare gli assetti societari per semplificare la struttura del gruppo e aumentarne la forza patrimoniale.

Oggi infatti in numerose controllate ci sono quote di minoranza che per il gruppo rappresentano più un impaccio che un’opportunità. Vi sono ad esempio il 16,2% della Popolare Commercio e Industria, il 25,3% della Banca Regionale Europea e quote minori in altre banche rete come la Popolare di Ancona o la Banca di Valle Camonica. Oggi questa situazione ha poco senso da un punto di vista industriale anche perché la normativa di Basilea 3 prevede limiti alla computabilità delle minorities nel capitale. Ecco perché Ubi ha avviato una rivisitazione del proprio assetto societario partendo proprio da queste quote. Lo scorso anno, ad esempio, nell’ambito della ridefinizione degli accordi di bancassurance con Aviva, Ubi ha riacquistato le partecipazioni detenute dalla compagnia assicurativa britannica in Popolare Commercio e Industria, Popolare Ancona e Banca Carime per 327 milioni. Dopo quel primo passo, il processo potrebbe essere portato a conclusione nelle altre banche rete, anche se Massiah al momento si mostra cauto: «Il board sta studiando diverse soluzioni ma è ancora presto per prendere decisioni», ha spiegato il banchiere durante la conference call di mercoledì. 
Certo è che un’operazione di questo genere aumenterebbe la generazione di capitale interno per il gruppo lombardo che già oggi ha una posizione patrimoniale di tutta tranquillità con un common equity tier 1 phased in al 12,45%.

Resta poi da capire se una razionalizzazione di questo genere potrebbe preludere a una fusione delle controllate in base a quel modello di banca unica da cui finora Ubi si è tenuta alla larga. Il gruppo lombardo, infatti, ha sempre difeso il proprio assetto federale che proprio oggi potrebbe rivelarsi particolarmente vantaggioso nell’imminente risiko bancario. Dopo l’aggregazione però, che il mercato si aspetta entro la fine dell’anno, le strategie potrebbero cambiare in profondità. A quel punto infatti Ubi, o meglio la realtà che vedrà la luce dopo la fusione, potrebbe prendere le distanze dal modello federale per razionalizzare la propria struttura societaria. È invece assai difficile pensare che il riassetto generale possa avvenire prima dell’aggregazione, per ragioni di natura sia industriale che politica. Al momento comunque i vertici di Ubi mantengono il massimo riserbo su quali potrebbero essere le mosse del gruppo: «Al momento non c’è una trattativa. E da parte nostra, in questa banca, c’è una chiara comprensione del fatto che meno del 50% delle fusioni hanno creato valore», ha puntualizzato Massiah al termine della conference call sui conti trimestrali. (riproduzione riservata)