di Daniele Cirioli 

 

Per i pensionati sopra i 2.500 euro la rivalutazione 2015 chiuderà con il segno meno: dovranno restituire qualcosa all’Inps. A conti fatti, 32 euro se a dicembre 2011 la pensione era di 2.600 euro, salita oggi a 2.618,22 euro per via delle rivalutazioni dal 2012 al 2015, ma che i nuovi criteri del dl n. 65/2015 faranno scendere a 2.615,76 euro.

L’intervento della Consulta. Un passo indietro. Con sentenza n. 70/2015, la Corte costituzionale ha bocciato il blocco della perequazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo Inps fissato per il biennio 2012/2013. La conseguenza sarebbe dovuta essere l’automatica disapplicazione della norma dichiarata incostituzionale, quindi il riconoscimento delle rivalutazioni per quegli anni in base alla disciplina pro tempore vigente, nonché il ricalcolo delle pensioni negli anni seguenti, per includervi la rivalutazione delle «rivalutazioni» del biennio 2012/2013.

La scelta del governo. Consapevole dell’impossibilità di scaricare sul bilancio statale la spesa necessaria ad applicare la sentenza (oltre 18 miliardi di euro), il governo è corso ai ripari con le misure del dl n. 65/2015 (si veda ItaliaOggi di ieri). L’operazione messa in piedi, a quanto si legge nell’art. 1, consiste nella rielaborazione delle perequazioni dal 2012 al 2015, di tutte le pensioni, con i seguenti nuovi criteri:

 

  • pensioni fino a tre volte il minimo Inps, 100% dell’Istat;

     

  • pensioni oltre tre e fino a quattro volte il minimo, 40% dell’Istat;

     

  • pensioni oltre quattro e fino a cinque volte il minimo, 20% dell’Istat;

     

  • pensioni oltre cinque e fino a sei volte il minimo, 10% dell’Istat;

     

  • pensioni oltre sei volte il minimo, nessuna rivalutazione.

    Nell’arco temporale della rielaborazione (dal 2012 al 2015), inoltre, il dl n. 65/2015 stabilisce che la rivalutazione venga applicata in misura ridotta, cioè al 20% di quella ordinaria, per gli anni 2014 e 2015.

    La rielaborazione della perequazione. In tabella sono riprodotti i risultati di una simulazione della rielaborazione delle perequazioni, dal 2012 al 2015, sulla base dei nuovi criteri del dl n. 65/2015 e dei tassi Istat pro tempore vigenti (2,7% per il 2012; 3% per il 2013; 1,1% per il 2014 e 0,3%, provvisorio, per il 2015). Tre gli esempi, uno per ciascuna classe di rivalutazione, con esclusione della prima classe (pensioni fino a tre volte il minimo), perché non colpita dalle novità mantenendo il 100% della rivalutazione per il passato, il presente e il futuro, e dell’ultima classe (pensioni oltre sei volte il minimo), perché nemmeno interessata dalle novità mantenendo l’esclusione dalla rivalutazione per il passato, il presente e il futuro. Per ogni esempio le tre righe indicano: come è stata la rivalutazione prima del dl n. 65/2015 (normativa), come sarà rielaborata in base ai nuovi criteri del dl Renzi) e la differenza. La colonna «risarcimento» indica l’importo che la rielaborazione riconoscerà il prossimo mese di agosto. Infine, l’ultima colonna indica l’andamento per l’anno corrente.

    Chi si accontenta A quali risultati si sarebbe giunti in mancanza dell’intervento del governo? Eccoli:

     

  • il pensionato con 1.600 euro avrebbe avuto diritto a un arretrato di 2.678,13 euro (invece di 979,94 il 36,59%) e, oggi, la sua pensione sarebbe di 1.705,57 euro (invece di 1.638,52);

     

  • il pensionato con 2.200 euro avrebbe avuto diritto a un arretrato di 7.523,90 euro (invece di 585,13 il 7,78%) e, oggi, la sua pensione sarebbe di 2.319,19 euro (invece di 2.226,40);

     

  • il pensionato con 2.600 euro avrebbe avuto diritto a un arretrato di 3.613,09 euro (invece di 305,76 l’8,46%) e, oggi, la sua pensione sarebbe di 2.731,34 euro (invece di 2.615,76).