di Guido Salerno Aletta

Ieri sono stati diffusi i dati relativi all’andamento del pil nel primo trimestre di quest’anno: in Italia, la variazione del pil è stata del +0,3% rispetto al trimestre precedente, mentre nei confronti del corrispondente periodo del 2014 la variazione è stata nulla. L’obiettivo di crescita, il +0,7% del pil indicato nel Def per quest’anno, dovrà quindi concentrarsi tutto nei successivi trimestri, ma comunque, tecnicamente, la recessione è alle spalle.

Sotto il profilo congiunturale, l’andamento economico dell’Italia è stato sostanzialmente coerente con quello registrato nel complesso dell’Eurozona, che ha infatti segnato +0,4%. Siamo invece molto più indietro rispetto al +1% di crescita del pil registrato rispetto al primo trimestre del 2014. I dati diffusi da Eurostat relativi alla produzione industriale, che misurano la variazione mensile tra marzo e febbraio scorso, sono stati invece marcatamente più positivi in Italia, che ha segnato un +0,4%, rispetto al complessivo arretramento dell’Eurozona, che ha registra un -0,3%.

Rispetto al marzo 2014, l’incremento della produzione industriale in Italia è stato dell’1,5%, sostanzialmente in linea rispetto al dato complessivamente registrato nell’Eurozona, pari al +1,8%. La produzione industriale italiana sta però solo recuperando quota dopo la lunghissima recessione determinata dalle correzioni fiscali adottate a partire dal 2010: fatto 100 il valore della produzione industriale in quello stesso anno, a marzo scorso l’Italia si trovava ancora a 91,8. Nell’Eurozona, un livello più basso è toccato ancora solo dalla Grecia con l’indice ad 89,8 e dalla Finlandia con 91,5. La Francia invece ha praticamente recuperato, avendo toccato quota 99, mentre la Gran Bretagna è a 98,2. La Spagna ha segnato 93,2 punti, sostanzialmente appaiata all’Italia.

A livello complessivo, la produzione industriale dell’Eurozona appare però ancora molto distante dai livelli pre-crisi: fatto sempre 100 il valore del 2010, galleggia da più di un anno intorno a quota 102, mentre nel 2008 era arrivata al livello di 115. Un caso a parte è rappresentato dalla Germania: per quanto riguarda la produzione industriale di marzo, ha accusato un -0.7% rispetto a febbraio, ed addirittura un -0,1% rispetto al marzo 2014.

Si nota una sostanziale stagnazione dell’economia tedesca: fatto 100 il livello del 2010, l’indice oscilla attorno a quota 108/109. Per quanto riguarda il pil tedesco, la variazione nel primo trimestre del 2015 rispetto all’ultimo trimestre del 2014 è stata identica a quella registrata dall’Italia: +0,3%.

Rispetto al primo trimestre del 2014, il pil tedesco è cresciuto appena dell’1%. L’economia tedesca è già cresciuta a sufficienza e, ancora una volta, non farà da locomotiva a nessuno: i consumi interni non crescono e l’export pare aver raggiunto livelli non superabili dal punto di vista delle compatibilità politiche. Un ulteriore incremento del saldo commerciale tedesco, arrivato nel 2014 a 217 miliardi di euro rispetto ai 195 miliardi dell’anno precedente, sarebbe considerato inaccettabile dagli altri partner. Con la disoccupazione al 5,4% e l’inflazione al +0,5%, la Germania non ha nessun motivo per accelerare.

La Gran Bretagna cresce in modo ancora più sostenuto della Germania, ed è per questo che Cameron, premier dal 2010, è stato appena rieletto: il pil inglese è aumentato del 2,4% rispetto al primo trimestre del 2014, mentre quello della Germania solo dell’1%. Sotto la guida di Cameron, la Gran Bretagna si è ripresa da una crisi finanziaria devastante, per la quale aveva dovuto nazionalizzare numerose banche erogando aiuti per ben 164 miliardi di euro.

Nel 2015, il tasso di disoccupazione nel Regno Unito sarà del 5,4%: una percentuale pari alla metà di quella italiana (12,6%), a un quarto di quella spagnola (22,6%), e di pochi decimali superiore a quello della virtuosissima Germania (4,9%). Cameron non ha dovuto rispettare nessun dei vincoli cui si sono costretti tutti gli altri Paesi aderenti all’euro: la Bank of England ha sostenuto l’economia con eccezionali e tempestive immissioni di liquidità, con un Quantitative easing adottato sin dal marzo del 2009, mentre la Bce ha cominciato solo nel marzo scorso, con sei anni di ritardo.

La sterlina è stata subito svalutata, invece di attendere il maggio dell’anno scorso come è successo con l’euro rispetto al dollaro, non appena la Bce ha preannunciato la possibilità di adottare un Qe. L’inghilterra ha mantenuto una assoluta libertà nelle politiche di bilancio, rifiutandosi categoricamente di adottare il Fiscal Compact: ancora nel 2015, ha un deficit strutturale del bilancio pubblico (-4% del pil potenziale) ed un saldo primario di bilancio negativo altissimo (-3,2% del pil), mentre l’Italia ha riportato quest’ultimo in attivo sin dal 2011.

 

L’Inghilterra ha mantenuto il deficit di bilancio a livelli inimmaginabili per i Paesi dell’Eurozona: nel 2009, 10,8% del pil: nel 2010, 9,7%; nel 2011, 7,6%; nel 2012 7,8%; nel 2013, 5,7%; nel 2014, ancora 5,7%; quest’anno, il deficit sarà ancora pari al 4,8% del pil. Così facendo, l’Inghilterra ha conseguito una crescita sostenuta dell’economia reale, pari al 2,6% nel 2014 e al 2,7% quest’anno. Nel periodo 2007-2015, la Gran Bretagna ha accumulato il 9,1% di crescita, mentre la Germania ha registrato un +10,2%: appena più di un punto percentuale in nove anni. I bilanci pubblici dell’Eurozona sono stati messi sotto stretto controllo con il Fiscal Compact, cui la Gran Bretagna non ha aderito.

L’export, nonostante gli effetti positivi della svalutazione del dollaro, sembra aver raggiunto un profilo difficilmente modificabile nel breve periodo, visto che servirebbe almeno un decennio di investimenti mirati per iniziare a competere sui segmenti tecnologici e dei new media presidiati dall’industria statunitense. Il credito erogato dal settore bancario viene quotidianamente messo sotto osservazione dai regolatori, mentre il Qe immette liquidità che non si indirizza ancora verso gli investimenti produttivi. Dopo anni di annunci, di riprese annunciate e poi puntualmente rinviate, in Italia sembra un miracolo essere arrivati alla crescita zero, tornati appena alla linea di galleggiamento. (riproduzione riservata)