di Guido Salerno Aletta

«Come abbiamo avuto modo di constatare negli ultimi anni, la moneta, da sola, non basta»: non poteva essere più chiaro di così Giuseppe Vegas, nello svolgere la Relazione sull’attività svolta dalla Consob nel 2014, al fine di spiegare le ragioni politiche e istituzionali che militano a favore dell’istituzione di una capital market union europea. L’euro, che sia irreversibile o meno, non basta.

Se è vero che le tre fondamentali libertà europee sono quelle di circolazione, delle persone, delle merci e dei capitali, è altrettanto vero che in quest’ultimo settore i singoli Stati membri hanno cercato di sfruttare a proprio esclusivo vantaggio gli spazi di discrezionalità lasciati dal legislatore comunitario. Per un verso è venuta a mancare una strategia comune volta a rafforzare la posizione competitiva dell’Unione verso altre aree geografiche e per l’altro le incertezze normative hanno dato luogo ad arbitraggi tra sistemi giuridici, cui si risponde attraverso regole sempre più dettagliate e complesse, che frenano gli investimenti esteri.

Bisogna ricominciare dalle fondamenta: l’euro è solo il tetto precario posto al di sopra di una casa comune europea in cui ciascuno Stato ha piazzato i pilastri dove più gli conveniva. Non è casuale, infatti, che la politica monetaria della Bce si sia dovuta muovere tra un’emergenza e l’altra, per approdare infine al Qe dei titoli pubblici quando la tendenza alla deflazione stava per diventare inarrestabile.

La politica monetaria ha bisogno di mercati efficienti, ma soprattutto regolamentati in modo omogeneo. Altrimenti sono le stesse regole nazionali, insieme alla corrispondente disciplina fiscale, a distorcere le convenienze nella allocazione dei capitali. Insomma, in campo finanziario l’Europa unita ha praticato la «competition by regulation»: l’antitesi dell’assunto, considerando che il mercato unico dei capitali è stato disciplinato da norme finalizzate ad alterare la concorrenza.

L’auspicio di Vegas è pienamente condivisibile, purché il prospettato mercato unico dei capitali non rappresenti un ulteriore pregiudizio per l’Italia. Occorre evitare, infatti, che il risparmio italiano, trascurando il tradizionale deposito bancario reimpiegato sul territorio attraverso il credito, venga drenato verso impieghi meramente finanziari e all’estero: questa sarebbe un’ennesima, inaccettabile spoliazione della ricchezza nazionale. Se la raccolta bancaria obbligazionaria da residenti tende continuamente a scemare, mentre aumentano la raccolta dei Fondi e gli impieghi all’estero, alle piccole e medie imprese vengono tolte anche le briciole.

Il secondo aspetto riguarda le politiche pubbliche a sostegno delle imprese: in Italia, l’impiego di fondi pubblici per lo sviluppo e il sostegno naviga in un limbo di anime in pena. Come per le detrazioni fiscali, non si nega un aiuto a nessuno: purché sia limitato e soprattutto temporaneo. Per le ristrutturazioni edilizie, si va sempre alla proroga annuale: se si ritiene che questo debba essere un settore trainante, non si possono sollecitare i cittadini ad affrettarsi per cogliere l’attimo fuggente. Le convenienze dell’ultimo momento creano disorientamento: prima che si capisca davvero che cosa e quanto conviene approfittarne, l’incentivo è già finito.

Se a livello europeo occorre costruire un mercato unico dei capitali, a livello nazionale sarebbe necessario ricostruire un sistema trasparente delle agevolazioni e degli incentivi, territoriali, settoriali e fattoriali.

La terza questione attiene al trattamento fiscale delle rendite finanziarie: con la quantità di moneta immessa dalle banche centrali, mai la repressione delle rendite è stata così violenta. Ma mai l’accesso al credito e al mercato dei capitali è stato così frastagliato: si fa credito a chi non ne ha bisogno. Il problema odierno non è il livello della tassazione, ma l’evaporarsi del provento in sé. Un mercato efficiente dei capitali deve poter contare su prospettive stabili che in Europa, per via della crisi, non sussistono.

Ben venga, quindi, la capital market union per fare ordine in Europa. È un tassello indispensabile, di un mosaico però ancora tutto da comporre. «Dobbiamo darci la medesima tassazione e la medesima legge»: il vero problema non è la futuribile sovranità dell’Europa, ma l’eguaglianza dei cittadini che manca. Anche Vegas non ha dubbi. (riproduzione riservata)