di Nicola Mondelli Nicola Mondelli 

 

È ufficiale: la legge di stabilità per il 2016 dovrà apportare modifiche ai requisiti anagrafici e contributivi, attualmente richiesti dall’articolo 24 del dl 201/2011 (riforma Fornero) e successive integrazioni e modificazioni, per accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia o anticipato, modifiche che dovrebbero consentire una maggiore flessibilità nell’accesso alla pensione a fronte della rigidità che caratterizza la normativa attualmente in vigore.

È quanto ha dichiarato il presidente del consiglio, Matteo Renzi, nel contesto delle polemiche in materia pensionistica sorte a seguito della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionali le norme che per gli anni 2012 e 2013 hanno escluso dalla rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici le pensioni il cui ammontare lordo era superiore a tre volte il trattamento minimo Inps.

Come era prevedibile, le dichiarazioni del presidente del consiglio hanno dato la stura ad un assordante concerto sulla natura delle modifiche che andrebbero apportate alla riforma Fornero. Ampio è il ventaglio delle proposte di modifica avanzate soprattutto dai più o meno cosiddetti esperti.

L’interesse del personale della scuola, costituito , per oltre il 70 per cento da donne, si concentra soprattutto sulla proposta di introdurre disposizioni che possano consentire di accedere volontariamente al trattamento pensionistico a partire da una età anagrafica non inferiore a 62 anni ed una anzianità contributiva di almeno 35 anni.

Una anzianità anagrafica flessibile eviterebbe il previsto aumento abnorme di docenti nonne oltre a favorire quel ricambio generazionale da sempre auspicato sia dalle famiglie che dai giovani che hanno i titoli per entrare nel mondo della scuola. Ma al prezzo di quale penalizzazione? Le voci che circolano in questi giorni su quale potrebbe essere il prezzo da pagare,sono le più disparate. Vanno dai 20, 30 ,40 euro in meno, a seconda degli anni di anticipo, come ipotizzate dal presidente del consiglio, addirittura ad una riduzione tra il 20 e il 30% rispetto all’ammontare della pensione che sarebbe spettata cessando dal servizio all’età anagrafica prevista dalla normativa vigente(66 anni e sei mesi nel 2016, 2017 e 2018; 66 e undici mesi nel 2019 e nel 2020).

Sono entrambe ipotesi estreme e, pertanto, da prendere con le molle. Tenuto conto che l’ammontare del trattamento pensionistico, sia in regime di calcolo con il solo sistema contributivo che con quello retributivo o misto è condizionato dall’età anagrafica posseduta all’atto della cessazione dal servizio, dagli anni di servizio utili a pensione e soprattutto dall’ammontare dei contributi versati, generalizzare come alcuni stanno facendo sa tanto di terrorismo previdenziale da un lato, di invito a subire la penalizzazione con spirito di sacrifico in favore delle future generazioni, dall’altro. Sembra invece più credibile sostenere che l’ammontare della penalizzazione, limitatamente a quella legata all’età anagrafica anticipata, non dovrebbe comportare una riduzione dell’ammontare della pensione spettante in base ai contributi versati compresa tra il 2 e il 5%.

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