Il quantitative easing è stato presentato come l’arma finale messa in campo dalla Bce per rilanciare l’economia europea, da tempo in stagnazione. Anche se è presto per tracciare un primo bilancio, a meno di due mesi dall’avvio dell’iniziativa, in campo finanziario inizia a serpeggiare qualche dubbio. In particolare John Greenwood, capo economista di Invesco, si sofferma sull’utilità di questo strumento per combattere la deflazione e, per questa strada, spingere le imprese e i consumatori a riattivare la spesa. «Solo una vera crescita della moneta farà terminare la deflazione e ristabilirà tassi di interesse positivi», sottolinea l’esperto, per il quale a un’azione aggressiva da parte della Bce devono accompagnarsi progressi nella sistemazione dei bilanci di famiglie, imprese e settore finanziario. «Tuttavia, le deboli politiche studiate dalla Banca centrale europea sono state del tutto inadeguate per raggiungere questo obiettivo», spiega Greenwood, «i tassi di interesse in Europa e nella zona euro, infatti, sono bassi perché la crescita della moneta è stata troppo ridotta, per un periodo eccessivamente lungo, non perché le condizioni monetarie in Europa siano accomodanti». L’esperto critica la versione di quantitative easing avviata a marzo dalla Bce, affermando che è stata pensata principalmente per espandere il bilancio della banca centrale piuttosto che per incrementare i depositi delle banche commerciali o per aumentare le disponibilità finanziarie di aziende e consumatori. «Ne consegue che più i tassi di interesse scendono in territorio negativo, peggiore sarà la deflazione per l’Europa e la zona euro. È necessario che Bce e altre banche centrali europee (in particolare Svezia e Danimarca) assicurino che la crescita della base monetaria acceleri per supportare una ripresa sostenuta, indipendentemente da quello che accadrà ai tassi di interesse», conclude.